Non vi sono al momento indicazioni che facciano intravedere “rischi di smembramento” di Mps in seguito a un’aggregazione con Unicredit. Parola del ministro dell’Economia, Daniele Franco (nella foto), in audizione alle Commissioni Finanze di Camera e Senato. La verità è che il governo vuole chiudere sul dossier in tempi stretti e al momento non vede alternativa migliore alla cessione della più antica banca del mondo (1472) ad Unicredit.
L’esecutivo deve, entro il 31 dicembre di quest’anno, presentare a Bruxelles il piano per privatizzare l’istituto di credito, secondo gli impegni presi con la stessa Commissione Ue. E via XX Settembre replica a chi, da M5S alla Lega, preme sul presidente del Consiglio, Mario Draghi, affinché chieda una proroga. Gli stress test europei hanno evidenziato per Mps, dice Franco, “l’esigenza di un rafforzamento strutturale di elevata portata” con un aumento di capitale ben superiore a quello previsto dal piano industriale che prevede un aumento tra i 2 e i 2 miliardi e mezzo.
“Se la banca restasse soggetto autonomo sarebbe esposta a rischi e incertezze considerevoli e avrebbe seri problemi”. Il Tesoro, insomma, intende andare avanti nell’operazione con UniCredit e non vede i presupposti per prendere tempo sulla privatizzazione e per aprire un’interlocuzione con Bruxelles per quello che il ministro dell’Economia definisce “l’ipotesi stand alone”. “Non vi sono in questo momento le condizioni per mettere in discussione l’impegno di dismettere” la quota di controllo della Banca Monte dei Paschi di Siena.
Il dialogo con UniCredit, l’unica che ha manifestato interesse, è “un’iniziativa doverosa”. “Questa operazione costituisce una soluzione strategicamente superiore dal punto di vista dell’interesse generale del Paese”. E, sottolinea, “vorrei rassicurare che non si tratterà di una svendita di proprietà statale”. Peraltro, al termine dell’aggregazione, il Mef potrebbe ritrovarsi azionista della banca di piazza Gae Aulenti.
“E’ possibile che il ministero dell’Economia riceva azioni UniCredit, ma tale eventuale partecipazione al capitale non dovrebbe alterare gli equilibri di governance. Il ministero e il Governo parteciperanno comunque a tutti i benefici economici di creazione di valore derivanti dall’operazione che deve, necessariamente, avvenire a condizioni di mercato”. Verrà tutelato, assicura l’ex direttore generale della Banca d’Italia, il marchio: ‘La sua salvaguardia rappresenta una priorità per il governo’’ perché ‘’ha un valore storico, non solo commerciale’’.
Altro punto su cui l’esecutivo vigilerà, dice il ministro, sarà la tutela dell’occupazione. Mps ha “oltre 21.000 dipendenti. Il governo garantirà la massima attenzione alla tutela dei lavoratori utilizzando gli spazi negoziali e definendo i presidi a tutela dell’occupazione del territorio con una pluralità di strumenti e iniziative”. E verrà tutelato il territorio: l’impegno a compensare Siena e la Toscana per la perdita di un baluardo della loro economia saranno una “priorità indiscussa e incomprimibile”. Intanto anche la Commissione Banche si prepara a sentire Unicredit, probabilmente a settembre.
“Sono mesi che la Commissione monitora il caso Mps”, replica la presidente Carla Ruocco a chi parla di sgambetto. “Abbiamo già audito due volte l’ad e dg di Mps, Guido Bastianini e la viceministra al Mef, Laura Castelli, senza che nessuno contestasse la competenza della Commissione”. La questione Mps pesa come un macigno sulla campagna elettorale per il seggio a Siena lasciato vacante dall’ex ministro del Tesoro (Pd) Pier Carlo Padoan che si è dimesso da deputato per approdare alla presidenza proprio di Unicredit e che, quando era al Mef, ha seguito il dossier Mps che portò alla sua nazionalizzazione.
Le responsabilità dei dem, che attraverso gli enti locali hanno pesato nella gestione dell’istituto senese, rischiano di essere un boomerang per Enrico Letta. candidato al collegio che fu di Padoan. “Per il futuro Mps la nostra bussola ha 4 punti cardinali: tutela dei posti di lavoro, salvaguardia del marchio, centralità di Siena e del territorio, continuità nel ruolo di accompagnamento dello Stato. No allo spezzatino. Il mio impegno è a garanzia di una cambiamento radicale”, dichiara il numero uno del Pd che alla vittoria nelle suppletive ha legato la sua permanenza alla segreteria. Una partita ad alto rischio ma dalla quale Letta non può più tirarsi indietro: dire no alla candidatura sarebbe stata “diserzione”, ha dichiarato.