“La riforma della sanità lombarda rischia di mettere in crisi l’intero Sistema sanitario nazionale”. Questo il grido d’allarme lanciato dal consigliere M5s in Regione Lombardia Marco Fumagalli dopo la proposta di riforma approvata dalla Giunta regionale. “Anziché regolamentare il settore tramite una programmazione che soddisfi i bisogni tramite il sistema pubblico – e laddove il pubblico non riesce ad arrivare con l’apporto del privato – si parificano pubblico e privato”.
Questo potrebbe essere un problema?
È chiaro che mentre il pubblico “tutela interessi collettivi”, il privato ha come obiettivo il profitto. Oltre ad essere una forzatura del dettato costituzionale si rischia, se il modello viene “copiato” da altre regioni, di privatizzare l’intero sistema sanitario nazionale e di concentrare al nord la sanità ospedaliera svuotando quella delle altre regioni secondo il principio della specializzazione. Ma la sanità non è una industria che produce in catena di montaggio, ma deve curare la nostra salute possibilmente vicino a casa. Se la proposta passa senza opportuni interventi correttivi e un chiarimento del rapporto pubblico privato che non può essere equiparato, il rischio è la deflagrazione del SSN. Come si può pensare che pubblico e privato competano nel mercato quando le regole di funzionamento sono diverse? Il pubblico agisce in base a gare d’appalto, concorsi pubblici e un contratto collettivo basato sul rapporto a tempo indeterminato. Il privato acquista come meglio crede in base a logiche di profitto, assume chi meglio crede, e utilizza in modo spregiudicato il concetto di flessibilità sfruttando le cooperative e determinando una precarietà che ritocca al ribasso il costo del lavoro a discapito dei lavoratori.
In Lombardia in 30 anni il “controllo” del privato nella sanità è passato da zero al 50%. Di chi è la responsabilità?
Tutto è cominciato con Formigoni e l’abuso del concetto di sussidiarietà. Quando è arrivato Maroni non è stato in grado di modificare un sistema di potere e interessi economici che condiziona la vita politica lombarda. In sanità il privato controlla il 50 % del marcato mentre nelle RSA il 90 %. Stiano parlando di un business da 10 miliardi all’anno che Maroni ha deregolamentato in un’ottica liberista che ha privilegiato la sanità ospedaliera rispetto a quella territoriale. In questo modo il privato prospera e il pubblica arranca con le prestazioni meno remunerative.
Perché crede che, nonostante i limiti emersi in pandemia, la giunta continui su questa strada?
Perché è prigioniera di un modello che la consacrava come eccellenza, ma in realtà è business e gestione del potere politico che garantisce questi affari che hanno favorito una sanità privata ospedaliera al posto di quella pubblica. Ora lo sviluppo della sanità territoriale sposterà il business, e quindi il privato temendo di restare senza “clienti”, preme per poter gestire anche la sanità territoriale con la casa e gli ospedali di comunità.
Cosa proponete voi in Regione?
La centralizzazione a livello regionale di tutte quelle attività di tipo burocratico e di controllo come avviene normalmente nelle holding, con l’eliminazione delle ATS, che sono vere e proprie agenzie di affari del settore privato dato che si occupano della relative contrattualizzazione senza adeguati controlli. L’impiego del privato in base ai principi comunitari delle gare pubbliche e non come avviene adesso in base alla discrezionalità o meglio all’arbitrio del direttore delle ATS che stipula direttamente il contratto con il privato senza nessuna regolamentazione. Non siamo contrari all’impiego del privato per pregiudizio ideologico, ma chiediamo che avvenga in base a regole d’impiego trasparenti e oggettive, e rispettose dei principi comunitari. Perché possono gestire la casa della comunità le cooperative di medici di base e le imprese private e non per esempio le cooperative di infermieri? Noi chiederemo che se la Regione non è in grado di gestire tutte le case della comunità, queste possano essere date in appalto di gestione a cooperative formate dai lavoratori che vi lavorano dentro.
In Parlamento il 5S hanno proposto una riforma costituzionale del Titolo V per riportare la gestione della sanità in mano allo Stato. È d’accordo?
Certamente la pandemia ha evidenziato i limiti di un regionalismo basato sulla leale collaborazione tra Stato e Regioni che non siamo in grado di garantire. I tanti commissariamenti per dissesto finanziario e gli scandali che hanno contrassegnato la sanità lombarda impongono un maggiore controllo da parte dello Stato. Ma è altrettanto evidente che le regole devono essere diverse per regioni grandi come la Lombardia e quelle piccole che a volte hanno popolazione come la metà di una provincia lombarda.