A rischiare oggi sono 65 dipendenti (un centinaio in realtà se si aggiungono personale impiegatizio diretto, addetti alla vigilanza e alle pulizie) di Logista, la multinazionale monopolista nella distribuzione del tabacco, che ha deciso di chiudere il sito di Bologna e ha avvisato tutti i lavoratori con un messaggio whatsapp inviato sabato scorso verso le 10 di sera.
Prima c’erano stati i casi della Gianetti Ruote, azienda metalmeccanica della Brianza che ha mandato a casa 152 operai. E di Gkn in Toscana che di operai ne ha licenziati 422 (leggi l’articolo). Poi la Whirlpool (leggi l’articolo) che ha deciso di avviare la procedura di licenziamento collettivo per i circa 340 lavoratori dello stabilimento di via Argine a Napoli. Infine la Timken Company che ha annunciato la chiusura dello stabilimento a Villa Carcina, in provincia di Brescia, dove lavorano 106 dipendenti.
Il copione è identico: le aziende rifiutano di far ricorso agli ammortizzatori sociali e optano per la risoluzione dei rapporti di lavoro. Facendo carta straccia della nota che il premier Mario Draghi ha chiesto il 29 giugno a sindacati e aziende. Dieci righe circa che, nelle intenzioni di Palazzo Chigi, erano destinate a rendere più “presentabile” la fine del blocco dei licenziamenti decisa a partire dal primo luglio. Le parti sociali – recitava la nota – si impegnano a raccomandare l’utilizzo degli ammortizzatori sociali in alternativa alla risoluzione dei rapporti di lavoro.
Tutte le forze politiche e i sindacati, che ora si indignano davanti all’ondata dei licenziamenti, festeggiarono quell’intesa. I leader di Cgil, Cisl e Uil, Maurizio Landini, Luigi Sbarra e Pierpaolo Bombardieri definirono l’accordo un “segnale importante”. Ma a oggi le aziende sembrano farsi beffa delle raccomandazioni dell’ex banchiere. Che di fatto ha concesso alle imprese la possibilità di non far ricorso alla Cig e dunque di procedere ai licenziamenti. Ma il vaso è colmo e i partiti dell’asse giallorosso prendono carta e penna e piovono interrogazioni sul ministro del Lavoro, Andrea Orlando, e sul governo perché intervengano.
Tra le forze politiche più attive ora c’è proprio il Pd, ovvero il partito cui appartiene Orlando, che inizialmente con M5S e Leu era per la proroga generalizzata del blocco dei licenziamenti per tutti i settori. Poi la storia è nota. L’asse giallorosso si è sbriciolato e il Pd e la Lega hanno finito per convergere sulla necessità di un blocco selettivo che alla fine ha salvato solo il tessile e i comparti affini e ha lasciato in mezzo al mare i lavoratori di tutti gli altri comparti. Ora per i dem si è evidentemente superato il limite.
ll deputato Andrea De Maria ha depositato un’interrogazione al Governo, si appresta a farlo al ministero competente anche il collega Francesco Critelli. Filippo Sensi, sempre del Pd, chiede al Governo di riferire: “E’ una questione – denuncia – di lavoro, di diritti e di civiltà”. Ha presentato un’interrogazione a Orlando il senatore di Leu, Francesco Laforgia. E una doppia interrogazione, alla Camera e al Senato, al ministro del Lavoro l’ha presentata il M5S.
Si ribella il presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini: “Faremo di tutto per impedire un colpo di mano che calpesta in primo luogo la dignità. Coinvolgeremo il ministero del Lavoro, per chiedere con fermezza il rispetto delle procedure previste, rigettando blitz di qualsiasi tipo. Non c’è spazio per strappi sulla pelle di chi lavora e a discapito del territorio”. Chiede di “introdurre norme più stringenti per le ragioni per le quali si può licenziare” il zingarettiano Nicola Oddati. “Inutile rivendicare politiche per creare lavoro se poi è così facile distruggerlo”, conclude.