Era il 27 luglio, nel pieno del braccio di ferro sulle modifiche alla riforma Cartabia, quando il leader in pectore del M5S, Giuseppe Conte, forse come ulteriore forma di pressing sull’esecutivo in quelle ore difficili, non escludeva di sottoporre il compromesso finale sul dossier della giustizia alla valutazione degli iscritti. Il voto della Rete sulla mediazione? “Valuteremo alla fine”, dichiarò Conte. La tentazione è ora forte e seduce molti parlamentari pentastellati. Il primo, forse a chiederla a poche ore dall’accordo trovato in Consiglio dei ministri, è stato il senatore Danilo Toninelli. “Complimenti a Conte – ha scritto sui social l’ex ministro – per l’immenso lavoro svolto per migliorare la pessima riforma Cartabia. Ora onoriamo il voto degli iscritti che a febbraio ci ha fatto dire sì a Draghi, ma alla condizione che non si andasse oltre l’accordo precedentemente raggiunto con il Pd e Leu sulla riforma della prescrizione. Quest’ultima ipotesi si è appena avverata. È quindi naturale ma anche doveroso da ogni punto di vista che, per continuare ad appoggiare un governo nei cui confronti è venuto meno un presupposto essenziale, si torni a consultare gli iscritti con un voto chiaro e preciso su ciò che oggi è diventata la cosiddetta riforma della ministra Cartabia”.
Ma l’ipotesi di dare voce agli iscritti presenta più di una difficoltà. A cominciare dai tempi. La riforma è previsto che sbarchi in aula domenica, avviare la consultazione online richiede un minimo di organizzazione e tempi tecnici: quelli relativi all’annuncio della votazione e quelli necessari per consentire agli iscritti di votare. Ma, ripetiamo, l’idea seduce più di un parlamentare pentastellato anche se non tutti se la sentono di porre pubblicamente la questione che a questo punto è squisitamente politica. Vale a dire spetta unicamente a Conte. Quanti sono favorevoli a dar voce alla base sono anche sicuri che il compromesso trovato dal governo, per far definitivamente rientrare il dissenso del M5S, che si è battuto anima e corpo per far uscire fuori dalla gabbia dell’improcedibilità i reati di mafia e terrorismo, qualora fosse sottoposto alla votazione online passerebbe sicuramente.
Leggi anche: I Cinque stelle limitano i danni. Ma si valuta il voto della base. Sulla giustizia di più non si poteva ottenere.
Se è passato – è il ragionamento – il sì al sostegno al governo Draghi con la speranza che il Movimento riuscisse a difendere le proprie battaglie identitarie, a maggior ragione passerebbe il compromesso che ha evitato che venisse definitivamente archiviata la riforma Bonafede. In più, si fa notare, la benedizione degli iscritti renderebbe più salda all’interno del Movimento la leadership di Conte, che, ricordiamo, non ha ancora il placet della Rete. Perché la giustizia è stata la prima battaglia combattuta in prima linea dall’avvocato pugliese. Ma c’è anche chi, tra i corridoi di Montecitorio e Palazzo Madama, teme il responso online. Qualsiasi votazione comporta un fattore di rischio. Cosa accadrebbe qualora la Rete bocciasse l’intesa raggiunta a Palazzo Chigi e la riforma venisse blindata con il voto di fiducia? è un rischio che il M5S non può permettersi di correre, ragionano i governisti anche a costo di scontentare gli ortodossi. E il tempo – che manca – gioca a favore non di questi ultimi ma dei primi.
La verità è che il giorno dopo nel M5S, sebbene tutti dichiarino di aver “scongiurato almeno i pericoli più gravi, ossia quelli di mandare al macero migliaia di processi per reati gravi e odiosi”, permangono se non “malumori” quanto meno “preoccupazioni” sulla riforma. Lascia per esempio l’amaro in bocca che il cosiddetto ‘regime speciale’, che deroga alle nuove norme sulla improcedibilità e che riguarda i reati per mafia, terrorismo, violenza sessuale e droga, non si applichi ai reati contro la Pubblica amministrazione, dalla corruzione alla concussione. E ieri durante i lavori in Commissione Giustizia della Camera è pure saltato l’emendamento del M5S che avrebbe permesso di svolgere anche in Appello i processi per reati minori di fronte a un solo giudice invece di tre. La proposta che aveva ottenuto anche l’ok della Guardasigilli sarebbe stata osteggiata da Forza Italia, Lega e Italia Viva. “Non si poteva ottenere di più è il refrain”, a tratti sconsolato, di quanti fanno notare che “la riforma Cartabia era indigesta è che ora è stata almeno al 50% edulcorata”. Mentre il pentastellato Mario Perantoni, presidente della seconda Commissione, che ha definitivamente licenziato il testo, si dichiara “fortemente contrariato per la compressione dei tempi del dibattito”. Fosse solo per quello la contrarietà, verrebbe da dire.