Non accennano ad attutirsi gli attriti all’interno del centrodestra per la mancata riconferma del consigliere in quota Fratelli d’Italia Giampaolo Rossi nel Cda della della Rai (leggi l’articolo). Del resto era stata subito chiara Giorgia Meloni, che della sua lealtà nei confronti degli alleati ha sempre fatto un vanto: non rispettare gli accordi ha sempre delle conseguenze, anche politiche. “Nella coalizione ci sono delle regole che ho sempre rispettato, e quando stringo la mano a qualcuno rispetto quel patto. Ho stretto la mano a Silvio Berlusconi, tempo fa. L’ho chiamato io e gli ho detto che saltata una regola, saltano tutte”.
Ma non solo, anche sulla stessa Rai la leader dell’opposizione non intende mollare di un centimetro e ha detto senza usare giri di parole di rivendicare la presidenza della commissione di Vigilanza Rai – assegnata all’esponente azzurro Alberto Barachini quando FI era all’opposizione ai tempi del governo giallorosso – “per un fatto di tenuta degli equilibri, non per un fatto di poltrone” spiegando che aver lasciato fuori dal board di Viale Mazzini l’unico membro indicato dall’opposizione definito da Meloni “il più capace” per consentire l’ingresso di Simona Agnes in quota forzista (con il placet e il determinante appoggio dei leghisti) sia un gesto che “ha violato tutte le regole e questo non è un fatto normale: le regole valgono per tutti, servono alla tenuta delle istituzioni’’.
Parole ovviamente condivise dalla capogruppo di FdI nella commissione parlamentare di Vigilanza sulla Rai Daniela Santanchè (nella foto), che nel caso di passo indietro di Barachini potrebbe assumerne il ruolo: “Non si tratta di poltrone ma di rispetto della democrazia, non esiste in alcun Paese democratico che la tv di Stato sia completamente nelle mani della maggioranza e del governo e che nessuno spazio sia garantito all’opposizione. è inaccettabile che controllore e controllato corrispondano, si tratta di una palese violazione delle regole e di quel principio di check and balance su cui si fondano tutte le democrazie occidentali”.
Concetto estraneo al segretario della commissione di Vigilanza e deputato della Lega Massimiliano Capitanio, secondo il quale “Fratelli d’Italia non è sottorappresentata né rispetto ai voti reali presi nel 2018, né rispetto alle proiezioni dei sondaggi” che, per inciso, forse sfugge al leghista, indicano il partito della Meloni come il primo partito italiano. Capitanio liquida quindi la richiesta come “la rivendicazione di una poltrona” ricalcando quella che per mesi è stata la querelle sul Copasir, con il leghista Volpi che non voleva saperne di mollare la presidenza nonostante spettasse per legge all’opposizione (leggi l’articolo).
Nel caso della Vigilanza si tratta di prassi consolidata ma quello che è avvenuto con il governo Draghi è il primo caso nella storia in cui l’opposizione viene espulsa da qualsiasi ruolo gestionale di garanzia e di controllo del Servizio pubblico non essendogli stata riconosciuta né la presidenza dell’azienda, né alcun posto nel Cda e neppure la presidenza della Vigilanza. Che il senatore azzurro Maurizio Gasparri, ha definito “già ben guidata” e “garanzia del pluralismo e delle norme vigenti”, lasciando intendere che FI non ha nessuna intenzione di indietreggiare.
Senza dimenticare che all’orizzonte c’è anche la partita delle nomine interne all’azienda che in qualche modo dovrebbero compensare il “maltolto” a FdI, anche perché se i due esponenti meloniani avessero votato contro in Vigilanza la presidente indicata dal Tesoro Marinella Soldi non ce l’avrebbe fatta e questo non potrà non avere un peso nelle future scelte.