Ieri udienza preliminare del processo per stupro a Ciro Grillo e i suoi amici. I quattro non sono in aula ma c’è ovviamente l’avvocatessa della presunta vittima e cioè la senatrice della Lega, Giulia Bongiorno. La leghista inizia – come dovere di ogni buon legale – a perorare la causa per cui è pagata. E lo fa bene. Tanto in aula quanto a favore di telecamere. Però poi accade un fatto che dà la cifra di come la Bongiorno, proprio in forza di questo delicato caso giudiziario dagli inevitabili riverberi politici, in un colossale conflitto di interessi.
Che si manifesta in tutta la sua flagranza quando, dismessa la toga, davanti alle stesse telecamere, si esibisce in un’arringa extraprocessuale contro la riforma della giustizia targata Alfonso Bonafede tessendo le lodi della nuova formulazione imposta dal tandem da Cartabia-Draghi. Ora la senatrice Bongiorno ha non solo il diritto, ma anche il dovere di intervenire su questa vicenda perché è stata eletta in Parlamento, il fatto è che non poteva e non doveva farlo in un contesto, quello di un processo, del tutto fuori luogo per questo tipo di interventi.
Oltretutto, questo processo al figlio di Beppe Grillo è già viziato di per sé da un formidabile gravame politico trattandosi – come noto – del fondatore e il garante del principale partito oggi in Parlamento. Ed è proprio il combinato disposto di questi due elementi a inquinare le acque processuali perché il procedimento dovrebbe essere il più possibile libero da condizionamenti estranei ai fatti e cioè, in questo caso, la politica. Già in passato avevamo scritto della assoluta inopportunità che la deputata ed avvocata Bongiorno mischiasse le due figure, ma ella imperterrita continua a farlo, anzi parrebbe che ci provi anche un certo piacere che rasenta una incoscienza ai limiti della strafottenza.
Il popolo italiano, gli imputati, le vittime hanno infatti tutto il diritto di non vedere inquinato il campo operativo da elementi estranei potenti e dirompenti, come appunto la politica, oltretutto rappresentata in questo consesso ad altissimo livello. È possibile che l’ordine degli avvocati – ad esempio – non abbia nulla da dire a riguardo o che il presidente della Camera non la richiami all’ordine? È vero che siamo in Italia, dove ognuno fa un po’ come gli pare, ma sarebbe necessario approfondire questo tema dei conflitti di interesse e se non sia necessaria una legge apposita per evitare che gli eletti continuino ad esercitare la professione forense.
E inoltre, il suo capo politico, e cioè il senatore Matteo Salvini, non vede niente di inopportuno in questo fastidioso contesto in cui si mischia il ruolo politico/istituzionale a quello di avvocato? E la stessa presunta vittima o i suoi genitori non capiscono che la presenza della Bongiorno può nuocere al buon andamento proprio della loro difesa? Tutti punti di domanda che devono necessariamente essere affrontati e speriamo risolti. E in tutto questo i media non sembrano interessarsi minimamente a questa macroscopica anomalia italiana.
Nessuno ne parla, nessuno dice niente. Un’ulteriore conferma che il sistema dei pesi e contrappesi non funziona più nel nostro Paese che sta diventando sempre più insensibile alle tematiche etiche e che non riesce neppure ad innescare un dibattito pubblico sulla evidente inopportunità di questi doppi ruoli che, oltretutto, minano ulteriormente la fiducia dei cittadini nelle istituzioni facendo percepire che lo scenario è inquinato da altri elementi che sono l’anticamera del sospetto. Non si tratta di complottismo, ma solo di considerazioni di buon senso che però in questa epoca non godono più di cittadinanza nell’Agorà democratica.