Una gestione allegra della Girgenti Acque e anche alcune ipotesi di finanziamento illecito. Si muove su queste due direttive l’inchiesta della Procura di Agrigento, guidata dal procuratore Luigi Patronaggio, che ha travolto l’ente gestore del servizio idrico integrato della provincia e che si preannuncia come un vero e proprio tsunami giudiziario. Tra gli 84 indagati, infatti, spicca anche il nome del presidente forzista dell’Assemblea regionale siciliana, Gianfranco Miccichè, a cui viene contestato un finanziamento illecito per la campagna elettorale delle regionali del 2017.
Stessa accusa mossa anche nei confronti di Francesco Scoma, deputato eletto nelle file di Forza Italia, poi passato ad Italia Viva, che negano ogni addebito e fanno sapere di avere “le carte” che dimostrano l’insussistenza delle accuse, chiedendo anche “perché non ce le hanno chieste prima?”. Quel che è certo è che i magistrati sono convinti del contrario tanto che nel fascicolo, per il quale sono stati emessi otto fermi nei confronti dei vertici delle società Girgenti Acque e Hydortecne, entrambe dichiarate fallite nei giorni scorsi dal Tribunale fallimentare di Palermo, e ritengono di poterlo dimostrare.
Una lunga lista di nomi finiti all’interno del fascicolo tra cui spiccano quelli dell’ex presidente della Autorità garante della concorrenza e del mercato Giovanni Pitruzzella, dell’ex presidente della Provincia Regionale di Agrigento Eugenio D’Orsi, e dell’ex prefetto di Agrigento Nicola Diomede, che si era dimesso nel 2018, dopo la notifica dell’avviso di garanzia. Ad occuparsi dell’indagine sono il procuratore aggiunto Salvatore Vella e i pubblici ministeri Paola Vetro, Sara Varazi e Antonella Pandolfi, che sono convinti di aver portato alla luce l’esistenza di quella che difiniscono una regia criminale che operava in seno alla governance della società idrica.
Al vertice del gruppo l’imprenditore Marco Campione, già presidente del consiglio di amministrazione di Girgenti acque e amministratore di fatto delle società del Gruppo Campione. Un’inchiesta lunga, iniziata quasi quattro anni fa, da cui è emersa – come si legge nell’ordinanza – “una potente azione di lobbying e la creazione di un vasto sistema di corruttele volto ad eludere i controlli degli enti preposti”. Proprio guardando a questa presunta attività di lobbying, sarebbe emerso che Miccichè, nella qualità di candidato di Forza Italia alle elezioni regionali del 5 novembre 2017, e Scoma, nella qualità di suo mandatario, avevano ricevuto dall’imprenditore contributi elettorali per circa 30mila euro.
Peccato che l’erogazione, almeno secondo quanto sostiene la Procura, sarebbe avvenuta in aperta violazione di quanto previsto dall’articolo 7 della Legge 195/1974, ovvero senza che i contributi fossero stati regolarmente iscritti nel bilancio delle medesime società. Tesi rigettate da Miccichè e Scoma, con il primo che si è detto dispiaciuto “per il fatto che le mie figlie hanno saputo prima di me di questa indagine” sottolineando che per chiarire tutto sarebbe bastato “che in quattro anni” la Procura gli “chiedesse le carte”.
In difesa del presidente dell’assemblea è intervenuto anche il governatore della Sicilia, Nello Musumeci, dichiarando che “non dobbiamo innamorarci degli avvisi di garanzia perché mi sembra un giustizialismo al quale io non intendo appartenere. Sapete come la penso” ha spiegato sottolineando come bisogna attendere l’esito dell’eventuale processo. “Sono altresì convinto che il presidente Miccichè saprà far valere le proprie ragioni e quindi la sua assoluta estraneità ai fatti” ha detto Musumeci.