Con una battuta si potrebbe dire che oggi, finalmente, l’unico contagio che viviamo è quello dell’entusiasmo. Ovviamente non è ancora così. Ma la strada che abbiamo intrapreso ci sorride. Ed era ora dopo due anni di restrizioni, lockdown e pandemia. Basta questo per capire e comprendere fino in fondo perché – come mai era capitato – da giorni si percepisce un’eccitazione così diffusa. Certo, quando c’è la nazionale siamo abituati a vedere un solo popolo, una sola comunità, un solo cuore. Ma questa volta è diverso. Il fatto stesso che tornino finalmente, anche se ovviamente in forma contingentata, i tifosi sugli spalti, rappresenta che “ce l’abbiamo fatta”.
Che, al di là del risultato, stiamo vincendo tutti la partita più complicata dal secondo dopoguerra: quella contro il Covid. Stiamo esagerando? Niente affatto. E non deve sorprendere che una squadra di calcio possa simboleggiare tutto questo: se un gol, una parata, una bella giocata portano un popolo intero a gridare, a urlare, a esultare ed entusiasmarsi, è perché quel grido, quelle urla, quell’esultanza, quell’entusiasmo così contagioso rappresentano un popolo intero che torna a vivere, a sorridere, a pensare che si può pensare ad altro oltre al Covid, anche a cose futili come può essere il calcio e pensare che, invece, sia in quel preciso istante la cosa più importante del mondo. L’unica cosa che conta.
QUANTE COMBINAZIONI. Il fatto stesso che sia stato presente ieri, oltre a tante altre personalità del campo politico, istituzionale e sportivo, anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella simboleggia proprio una rinascita sociale e culturale prima ancora che calcistica (cosa altrettanto non banale considerando che agli ultimi Mondiali l’Italia non ha partecipato). Ma c’è di più. Ci sono altri piccoli aspetti che arricchiscono quest’evento e le speranze connesse, rendendolo ancora più entusiasmante. Gli italiani, si sa, sono un popolo che dice di non credere alla sorte e alla superstizione.
Eppure quando ci sono così tante combinazioni è piacevole pensare che il fato ci abbia messo lo zampino. Un po’ come i Mondiali del 2006 che hanno visto gli Azzurri trionfare a Berlino proprio dopo la maledetta stagione di “calciopoli”, ora abbiamo Europei la cui partita inaugurale si tiene proprio in Italia, a Roma, il Paese senza ombra di dubbio più colpito dal Covid e dalla pandemia. E la nazionale può avere finalmente la sua rivalsa dopo anni in cui le soddisfazioni sono state profondamente lontane dai campi di calcio. E ancora: i ragazzi allenati e diretti da Roberto Mancini (nella foto), come se non bastasse, hanno percorso un viaggio, tra qualificazioni e amichevoli, semplicemente eccelso… Insomma, ci sono tutti gli elementi per gridare, urlare, entusiasmarsi.
Anche per credere che arriveremo in fondo a questo cammino calcistico perché, in fondo, ce lo meritiamo. E c’è qualcuno che vuole premiarci. In campo e fuori dal campo. Siamo solo all’inizio, è vero. Ma, dopo settimane, mesi, anni di drammi infiniti, di conta dei morti, di persone chiuse in casa, pensare che anche solo una partita possa rappresentare la fine di un incubo, è cosa quantomai preziosa. Anche se non dovessimo arrivare fino in fondo, anche se l’Italia dovesse uscire per assurdo alla fase a gironi o perdere in finale ai calci di rigore, questi ragazzi un miracolo già l’hanno compiuto: hanno riportato entusiasmo e passione. Dilaganti. Contagiosi. Sinceri. Ed è già questa una vittoria. La più importante vittoria. Perché è quella raggiunta da un popolo intero. Fuori dal campo di calcio, nella vita.