Vacanza e vaccino è il binomio dolente oggetto di non facili decisioni tra governo centrale e autonomie regionali in materia di sanità; protagonista indiscusso del dibattito pubblico ma – soprattutto – fattore che condizionerà in maniera considerevole le tanto agognate vacanze di noi italiani.
Il calo significativo dei contagi, l’indice Rt che segna lo 0,68 e la campagna vaccinale che procede a tambur battente vedendoci solo in coda alla Germania come secondo Paese europeo con il maggior numero di vaccinati ci porta a sognare la vacanza, incrementando del 10% le prenotazioni rispetto alla scorso anno nello stesso periodo. Tutto lascerebbe sperare bene, se non ci fosse il vaccino – o il suo richiamo – a ricordarci i rischi di lasciare la Asl di riferimento con annessa struttura pronta alla somministrazione della dose nella data assegnataci.
DIFFICILE PROGRAMMARE. Così, chi decide di partire – e ligiamente vuole rispondere alla tempistica del proprio ciclo vaccinale – si chiede con non poca preoccupazione: “se lascio casa alla volta del turismo made in Italy, potrò effettuare la vaccinazione nella località di destinazione o perderò irreversibilmente il mio appuntamento?”. Ricordiamo l’essenzialità di rispettare il timing dei 42 giorni per Pfizer e delle 5-12 settimane per Astrazeneca, pena la riduzione della copertura contro il Covid (un recente studio anglosassone ci dice che, ad esempio, una sola dose Pfizer non ci proteggerebbe adeguatamente dalla variante indiana del Covid19).
FATE VOBIS. Figliuolo, che gode del vantaggio della disponibilità di vaccini che in era Arcuri ci sognavamo, se la cava calando come un asso che nascondeva nella manica il concetto di “flessibilità”, ovvero: laddove si può procrastinare il vaccino lo si procrastini, laddove lo si può fare in vacanza lo si faccia. Per casi limitati, si intende. Tradotto, la patata bollente è nella mani delle Regioni che – ancora una volta – vanno in ordine sparso, alcune di queste sotto la guida di governatori affetti dalla ormai tristemente nota “sindrome cronica da protagonismo” che antepone la propria visibilità individuale all’interesse collettivo della comunità che si rappresenta.
Per non parlare degli stagionali che dovrebbero (a parole) godere del beneficio di essere vaccinati nel luogo ove non risiedono stabilmente ma dove lavorano per un periodo medio-lungo e che, all’atto pratico, contattando i vari cup di diverse città si sentono dire: “non abbiamo avuto disposizioni a riguardo”. Insomma, il caos pare essere dietro l’angolo e la maggior rilassatezza derivante dalla fase calante della pandemia e dalla voglia di lasciarci questo incubo alle spalle potrebbe portarci ad essere meno rigorosi nel rush finale della campagna.
Noi italiani abbiamo il dovere di non abbassare la guardia adesso e di continuare a manifestare responsabilità come abbiamo fatto sinora, ma chi assume le decisioni per noi ha il dovere – prima di cedere a facili trionfalismi – di non nascondere la polvere sotto il Paese solo per dare nutrimento ulteriore alla narrazione del “ora che ci sono io, va tutto bene”.