Sembra che non passi giorno senza che la cronaca giudiziaria ci ricordi l’esistenza di casi di corruzione, scambi di favori e appalti pilotati (leggi l’articolo). Problemi atavici del nostro Paese che dopo essere stati al centro delle iniziative del precedente governo di Giuseppe Conte, tanto da guadagnarsi il plauso di Bruxelles per gli importanti passi avanti fatti nel contrastare tali fenomeni, sembrano essere di colpo spariti dall’agenda politica. In controtendenza con quanto fatto dall’ex guardasigilli Alfonso Bonafede, il governo di Mario Draghi si appresta a prendere una serie di misure che sembrano stridere con la necessità di contrastare queste problematiche.
Una di queste è quella che viene definita come un “depotenziamento” dell’Autorità nazionale anticoruzzione (Anac), sancito dal decreto legge voluto dal ministro Renato Brunetta, che sostanzialmente esautora l’authority dal monitoraggio delle amministrazioni pubbliche in vista degli ingenti fondi europei che arriveranno con il Recovery plan.
IRA DELL’AUTHORITY. Nel testo, ancora provvisorio, si legge che le pubbliche amministrazioni dovranno adottare il piano entro fine anno “per assicurare la qualità e la trasparenza dell’attività amministrativa e migliorare la qualità dei servizi”, definendo “gli strumenti e le fasi per giungere alla piena trasparenza, nonché per raggiungere gli obiettivi in materia di anticorruzione”.
Un decreto che ha mandato su tutte le furie il presidente dell’Anac, Giuseppe Busia, secondo cui “dal governo arrivano preoccupanti passi indietro in materia di anticorruzione, se venissero confermate le bozze in circolazione, in un momento in cui massima dovrebbe essere l’attenzione verso la gestione trasparente delle risorse, anche per il rischio di infiltrazioni delle mafie”.
A preoccupare il vertice dell’Authority, nonostante le rassicurazioni del governo, c’è soprattutto “il rischio di aprire la strada al passaggio di competenza in materia di anticorruzione da un’autorità indipendente, qual è l’Anac, agli uffici governativi” perché, testo alla mano, i piani anticorruzione e la verifica degli adempimenti in materia di trasparenza finirebbero in capo al ministero della Funzione Pubblica retto proprio da Brunetta.
MOVIMENTO IN TRINCEA. Come se non bastasse, due settimane fa è esploso il dibattito in maggioranza sulla necessità di rivedere il codice appalti che, secondo Matteo Salvini, tarpa le ali alla ripresa economica. Si tratta del sistema, attualmente vigente, che serve a combattere la corruzione che, dati alla mano, vede l’Italia in vetta alle classifiche di tutte le democrazie occidentali. Ma per il Capitano, a cui si è accodata poco dopo Forza Italia, è il caso di “azzerarlo” nel prossimo decreto Semplificazioni, lasciando ai sindaci il compito di decidere a quali opere dare il disco verde e in che tempi.
Un’idea che, chiaramente, viene osteggiata dal Movimento 5 Stelle che teme un aggravamento del problema proprio in vista degli oltre 200 miliardi che pioveranno sull’Italia da Bruxelles. Battaglia tutt’altro che sterile e fine a sé stessa perché i 5 Stelle, assieme al Pd e a Leu, sono già riusciti a mettere una pezza al decreto Semplificazioni ottenendo la cancellazione del criterio del massimo ribasso per l’aggiudicazione per le opere del Recovery plan. Grazie ai grillini, infatti, l’assegnazione dei lavori dovrà premiare l’offerta economicamente più vantaggiosa tenendo conto, però, sia del prezzo che della qualità del lavoro.