I magistrati che scelgono la politica non dovranno dire addio per sempre alla toga, come, invece, prevede il disegno di legge Bonafede. Nel testo del progetto di riforma del Csm presentato dalla Commissione incaricata dalla ministra della Giustizia, Marta Cartabia, non c’è – a quanto apprende l’Ansa – il divieto assoluto per chi si candida a rientrare in magistratura alla fine dell’esperienza politica. Ma si propone l’introduzione di limiti territoriali: si potrà riprendere a esercitare funzioni giudiziarie cambiando regione. Si prevedono inoltre limiti più stringenti per l’eleggibilità dei magistrati.
La Commissione ha concluso i suoi lavori, il cui esito sarà domani al centro del vertice convocato dal guardasigilli Cartabia con i capigruppo di maggioranza della Commissione Giustizia della Camera, dove è tuttora al vaglio il ddl di riforma approvato dal precedente governo, nel quale si prevedeva invece lo stop assoluto delle ‘porte girevoli’ tra magistratura e politica.
Ad aprile scorso il plenum del Csm aveva approvato il parere sul ddl di riforma del Csm che prevedeva, per l’appunto, il divieto di tornare alle funzioni giudiziarie per un magistrato che abbia assunto incarichi elettivi o di governo. La previsione della riforma, valutata anche dal Csm, prevedeva per i magistrati eletti il reintegro ma con funzioni non giudiziarie.
Dovrebbe invece dimettersi dalla magistratura chi intende candidarsi a competizioni elettorali o assumere incarichi di governo, secondo Nello Rossi, il magistrato e direttore di “Questione Giustizia“, la rivista di Magistratura democratica. In un articolo pubblicato sul periodico di Md Rossi definisce un “obiettivo minimo inderogabile” la preclusione del rientro in magistratura dei giudici e dei pm al termine del mandato elettorale o di un incarico di governo.
Rossi invita a prendere in considerazione “anche la possibilità di una più radicale opzione legislativa: considerare le preventive dimissioni dalla magistratura come presupposto necessario della candidatura del magistrato”. Il diritto di elettorato passivo, assicura “Questione giustizia”, “resterebbe liberamente esercitabile anche se a prezzo di una scelta drastica, impegnativa e dolorosa, non molto dissimile, peraltro, da quella che compiono, nello scegliere di partecipare alla lotta politica, altre categorie di cittadini e perciò non lesiva del principio di eguaglianza”.