di Monica Tagliapietra
Scuole che cadono a pezzi. Sempre meno soldi. Troppi insegnanti. Troppi sprechi. La scuola pubblica italiana si avvia all’inizio di un nuovo anno con i problemi di sempre. Il primo nodo resta quello dei docenti: 625 mila, praticamente un esercito. Ma per i sindacati, i prof sono sempre troppo pochi; per le casse dello Stato, invece, decisamente troppi. Eppure sono 11 mila le nuove assunzioni previste già quest’anno e in tutto 44 mila entro il 2015. E dire che il numero medio degli insegnanti per alunni è tra i più alti d’Europa. Magie delle statistica, materia che evidentemente ai sindacalisti della scuola non quadra.
Per insegnanti e studenti c’è poi un destino comune: passare le giornate in edifici spesso al limite della vivibilità. L’ultimo rapporto di Cittadinanzattiva è illuminante: solo un quarto degli Istituti è in regola con tutte le certificazioni di sicurezza e la manutenzione è ridotta all’osso. Lesioni strutturali in una scuola su dieci, distacchi di intonaco in una su cinque, muffe ed infiltrazioni in una su quattro. E ancora. Un terzo degli edifici è privo anche della più semplice aula computer e quasi la metà di laboratori didattici. Mentre il 50% non ha una palestra al proprio interno e in un terzo dei casi i cortili sono usati come parcheggio. Il 21% delle scuole presenta uno stato di manutenzione del tutto inadeguato e nei casi in cui è stato richiesto l’intervento all’ente interessato, nella maggioranza dei casi non è mai arrivato. E dire che di soldi nella scuola italiana se ne spendono. Meno però di quanto facciano gli altri Paesi avanzati. Secondo i più recenti dati Ocse in tema di spesa siamo al penultimo posto tra gli Stati più industrializzati. La spesa media per l’istruzione è pari appena al 4,8% del Prodotto interno lordo, cioè circa 15 miliardi meno della media. In Europa solo Slovacchia e Repubblica Ceca fanno peggio di noi.
Dove si perdono allora tante delle risorse che lo Stato investe per formare i nostri ragazzi? I soldi si perdono tra i meandri nella burocrazia, in concorsi e concorsini, senza produrre un miglioramento tangibile del sistema sociale. I fondi sono per lo più assegnati nelle scuole primarie e dell’infanzia, mentre di medie e licei è meglio non parlarne.
Il risultato è che il sistema scolastico non è competitivo. Anzi, di scarsa qualità e arretrato tecnologicamente. Nei giorni scorsi in un importante liceo romano, il Mamiani, gli studenti hanno fatto un appello chiedendo a genitori, aziende e volontari di regalare qualche computer per fare lezione.
Per buona parte della Sinistra, con una presa molto forte sulla parte più ideologizzata degli studenti, la colpa di tanto disastro è dei tagli di spesa e del dirottamento di risorse dalla scuola pubblica a quella privata. Uno spauracchio, quest’ultimo, che i numeri non confermano, anche se la scuola privata resta un bersaglio facile da colpire.
In questi ultimi giorni di attesa prima del suono della prima campanella dell’anno i problemi d’altronde non mancano, soprattutto per le famiglie alle prese con l’acquisto dei libri di testo. Altro capitolo dove la scuola italiana resta al palo nel confronto con l’Europa. La promessa di passare esclusivamente ai volumi digitali, messa nero su bianco dal ministro Profumo in un decreto del marzo scorso, è ancora tutta da vedere. E anche i tetti di spesa per i volumi finiscono spesso per restare solo sulla carta.
La vera parità mancata non è dunque tra scuole pubbliche e private, ma tra ricchi e poveri. Chi proviene da famiglie meno abbienti resta svantaggiato.
Dei ragazzi tra i 25 e i 34 anni di basso ceto, soltanto il 14 % è riuscito a completare il percorso fino alla laurea. La media calcolata dall’Ocse è del 37%. Mentre solo il 70% degli studenti riesce a diplomarsi. Restiamo distanti, dunque, da una media europea che è dell’80%. Ma anche chi è laureato non lavora. Tanto che l’occupazione è calata dall’84 al 79%. La pagella assegnata alla scuola italiana nel confronto con gli altri paesi europei è piena di insufficienze.