Due agricoltori travolti dal trattore e un operaio schiacciato dal cancello. Un vero e proprio dramma, quello dei morti sul lavoro, di cui pare nessuno voglia occuparsi seriamente. Anche per questo oggi le fabbriche, in segno di protesta, resteranno chiuse. A nulla è servito il caso di Luana D’Orazio, rimasta schiacciata a soli 22 anni dagli ingranaggi dell’orditoio su cui era impegnata. Morta sul colpo, ha rivelato l’autopsia. La vicenda aveva aiutato ad accendere i fari su questa piaga, tanto da spingere anche il ministro Andrea Orlando (nella foto) a prendere un impegno formale. Ma la piaga resta drammaticamente travolgente. Se c’è un fenomeno che non è andato in lockdown è proprio quello delle cosiddette “morti bianche”.
Morti che in realtà di candido non hanno proprio nulla. La scia di vittime è lunga e in netta crescita rispetto al passato: secondo gli ultimi dati all’Inail sono arrivate 185 denunce di infortunio mortale nei primi tre mesi del 2021, 19 in più del 2020. La media finora del 2021 indica oltre due vittime al giorno (+11,4% rispetto all’anno passato). Una vita spezzata ogni 12 ore semplicemente perché si stava lavorando. Il fenomeno, dunque, è in netta espansione. E la crescita è esponenziale: se prendiamo il 2020, i 1.270 infortuni mortali complessivi rappresentano a loro volta il 16,6% in più rispetto al 2019.
L’INCIDENZA DEL COVID. Ma non è tutto. Dall’ultimo report pubblicato dall’Inail emerge anche come le denunce complessive di infortunio nei primi tre mesi del 2021 siano state 128.761 (-1,7% rispetto al 2020). Un lieve calo che è sintesi, nel confronto con l’anno passato, di una diminuzione dei casi di incidente nel primo bimestre (-12%), ma di un clamoroso aumento nel mese di marzo (+35%), segno probabilmente della progressiva riapertura cui siamo andati incontro dopo le restrizioni dovute alla pandemia. A conti fatti, dunque, oggi se ogni giorno che passa muoiono oltre due persone sul lavoro, altre 1.430 subiscono un infortunio.
I dati, dunque, risentono anche dell’emergenza Covid. E, soprattutto, delle “infezioni” sul lavoro che, soprattutto per le categorie più a rischio, il governo ha parificato agli infortuni. Se dunque da una parte gli infortuni sono diminuiti nel complesso per via delle varie restrizioni, ad essere vittime sul lavoro sono soprattutto operatori socio-sanitari e medici. In totale dall’inizio della pandemia le denunce di infortunio sul lavoro da Covid-19 sono state 165.528, circa un quarto del totale delle denunce di infortunio pervenute da gennaio 2020. Ma c’è di più. Dall’analisi dell’Inail emerge che la “seconda ondata” di contagi ha avuto un impatto, anche in ambito lavorativo, più intenso rispetto alla prima ondata.
Il periodo ottobre 2020-marzo 2021 incide, infatti, per il 66,1% sul totale delle denunce di infortunio da Covid19, più del doppio del periodo marzo-maggio 2020 (30,6%). Ad oggi c’è da dire che l’Inail sta portando avanti un importante lavoro affinché nessuno resti indietro. Addirittura l’Istituto ha stipulato convenzioni con strutture sanitarie del territorio per garantire prestazioni riabilitative ai lavoratori che continuano a soffrire di postumi debilitanti a distanza di mesi dal contagio da Covid. C’è, tuttavia, un problema di sistema: le oltre 165mila denunce di contagi sul lavoro da Covid-19 pervenute all’Inail, alla data del 31 marzo, non comprendono tutte le categorie. Alcuni professionisti, come anche i medici di famiglia, non sono conteggiati poiché non accedono all’Inail. Un vulnus istituzionale che, forse, sarebbe il caso di risolvere.