Non è la prima dichiarazione in tal senso, ma stavolta è davvero netta: “L’attività del presidente della Repubblica è impegnativa, ma tra 8 mesi il mio incarico termina, io sono vecchio, tra qualche mese potrò riposarmi”, ha affermato Sergio Mattarella ieri (qui il video) parlando ai giovani alunni di una scuola primaria nella periferia di Roma (leggi l’articolo), dichiarazione quanto mia esplicita ed inequivocabile arrivata a stretto giro dall’accenno agli “ultimi mesi” della sua presidenza buttato lì, ovviamente non a caso, alla cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico all’università di Brescia il giorno prima.
Due circostanze che non richiedevano certo l’impellenza di tali precisazioni sul tema: il 3 febbraio 2022 – data di scadenza del settennato – non è alle porte ma non è certo un mistero che quella di inquilino del Quirinale rappresenti una carica ambitissima da tutti i partiti, nessuno escluso e che ormai da mesi si rincorrano quotidianamente voci sul possibile successore e, qualora si creasse un’impasse insuperabile tra le forze politiche sulla scelta, anche l’ipotesi di una rielezione dello stesso Mattarella, così come avvenne per Giorgio Napolitano che rimase al Colle poco meno di nove anni, durata limite indicata in Costituzione per gli incarichi di garanzia.
L’aria che tira di questi tempi nella variegata ed eterogenea maggioranza che appoggia l’esecutivo Draghi non è certo delle migliori, con Salvini e Letta che ogni giorno si lanciano strali e con tutti ormai già in clima di campagna elettorale, che ottobre – quello sì – è alle porte: è lapalissiano che questo Parlamento si regga sull’emergenza pandemica da una parte e sull’urgenza di approvare le riforme per poter accedere ai fondi del Recovery dall’altra, altrimenti le Camere sarebbero già state sciolte da un pezzo. Non a caso il leader della Lega ieri non si è stracciato le vesti di fronte all’ennesima dichiarazione di indisponibilità di Mattarella: “Siamo a metà maggio, febbraio è lontano. Noi non abbiamo candidati nostri e il Quirinale non dovrebbe avere candidati di parte. Mi limito a ricordare che se il Presidente Draghi ritenesse di proporsi, avrebbe il nostro convinto sostegno”.
Leggi anche: Mattarella si avvicina alla fine del mandato. “Sono vecchio. Tra 8 mesi potrò riposarmi”. E Salvini vede già Draghi al Colle: “Avrebbe il nostro convinto sostegno”.
Del resto la strategia di Salvini non è un segreto: Draghi capo dello Stato porterebbe inevitabilmente alla fine della legislatura essendo quasi impossibile trovare un’altra figura capace di mettere tutti d’accordo. Anche perché arrivare a cadenza naturale nel 2023, si ragiona dalle parti di Bellerio, logorerebbe ulteriormente il Capitano di lotta e di governo a favore di una lanciatissima Giorgia Meloni che, guarda caso, non condivide con l’alleato l’entusiasmo di vedere l’ex Bce al Col già nel 2022. Ancor con meno entusiasmo ce lo vede Letta, alle prese con una segreteria che non ingrana – per usare un eufemismo – e con il complicato progetto di un’alleanza strutturale alleanza con il nuovo M5S di Giuseppe Conte.
A Letta serve tempo e poi c’è da dire che a sinistra i papabili al ruolo pullulano, dall’immarcescibile Franceschini all’evergreen Prodi, da Gentiloni a Sassoli e potrebbe pure riaffacciarsi Giuliano Amato… Un po’ troppa gente insomma. E poi c’è la trasversale Marta Cartabia, che è pure donna, oltre ad avere un alto profilo, e le quote rosa in questo periodo vanno per la maggiore, senza dimenticare le trame di Matteo Renzi, che sta brigando per posizionare sul Colle Pierferdinando Casini, gradito anche agli azzurri di FI, terrorizzati dalla fine anticipata della legislatura, anche perché dalla prossima volta i parlamentari saranno la metà e nel caso soprattutto dei renziani la metà di nulla, viste le percentuali di Italia viva.
Re Giorgio era stanco, poi si incollò alla poltrona
“Un mio secondo mandato? Inutile e ridicolo, ho già dato”. Correva l’anno 2013 e a pronunciare queste parole appena una settimana prima di essere eletto per un secondo mandato, il 20 aprile per l’esattezza, fu Giorgio Napolitano, riconfermato capo dello Stato con 738 voti (ben 196 in più rispetto a quelli del 2006) alla sesta votazione.
Nelle settimane seguenti dichiarò di essere “stato quasi costretto ad accettare la candidatura a una rielezione o a una nuova elezione come presidente della Repubblica, pur essendo profondamente convinto di dover lasciare”, ed in effetti il pressing da parte del Pd (con il Pdl, Scelta civica e la Lega che si accodarono) fu notevole, dopo che Romano Prodi, la cui candidatura era stata accolta dall’assemblea del Pd da una corale standig ovation, finì impallinato alla quinta votazione proprio da 101 franchi tiratori del suo partito, così come era avvenuto il giorno prima per Franco Marini.
Napolitano è divenuto così il primo presidente della storia dell’Italia repubblicana ad essere eletto per un secondo mandato, ma potrebbe non essere l’unico: nel 2013, come forse potrebbe accadere nel 2022, serviva qualcuno in grado di sbrogliare la matassa. “Mi muove in questo momento il sentimento di non potermi sottrarre a un’assunzione di responsabilità verso la Nazione, confidando che vi corrisponda una analoga collettiva assunzione di responsabilità”, disse all’epoca. Chissà che non dovremo risentire questa formula al termine del settennato di Mattarella.