di Gaetano Pedullà
Tre giorni fa sembrava senza più scadenza. Oggi il governo è di nuovo a un passo dal baratro. Berlusconi dice apertamente quello che tutti sanno da sempre: se lo cacciano dal Parlamento, Enrico Letta cade. Il Pd, con il ministro Franceschini torna a dargli del ricattatore, i falchi del Pdl riprendono quota e la commedia della grande coalizione va avanti come da copione: ci si insulta, le decisioni si rinviano o se si prendono lo si fa in modo confuso, come è avvenuto sull’Imu dove ancora non sappiamo alla fine chi paga. Fino a oggi però il premier e il suo ispiratore sul Quirinale erano riusciti sempre a viaggiare evitando le buche più dure, scansando ogni tipo di provocazioni e trappole mortali. Per questo la mossa di nominare a sorpresa quattro senatori a vita, di sicuro più vicini al Centrosinistra che al Pdl, ha avuto subito l’effetto di una provocazione al contrario. Cambiare proprio adesso gli equilibri in Senato, dove servono pochi voti per dar vita a una maggioranza senza il Pdl, non poteva che costringere Berlusconi ad alzare il tiro. Il governo di pacificazione non ha portato a niente, sul problema dell’agibilità politica del leader del Centrodestra il Colle non ha fatto un solo cenno. E ora che il segnale da dare era nominare senatore a vita lo stesso Berlusconi o fare almeno il gesto di scegliere il suo braccio destro Gianni Letta, ecco che dal cilindro escono quattro stelle del Made in Italy. Tutti Vip troppo impegnati per seguire i lavori di Palazzo Madama e soprattutto in sintonia con un Capo dello Stato che dopo un secolo di politica diventa fan dell’antipolitica, fa finta di confondere le nomine a senatore con quelle di Commendatore e da sacerdote della Costituzione formale diventa sempre più l’attore di una Costituzione materiale che ha un piccolissimo difetto: odora poco di democrazia.