Che in Italia ci sia ancora molto da fare in fatto di parità di genere, lo sappiamo da tempo anche grazie alle battaglie giudiziarie che dimostrano il gap accumulato dal nostro Paese rispetto al resto dell’occidente. Un problema su tutti è quello dell’omofobia che è stato a lungo dimenticato dalla politica – secondo molti in modo consapevole – e a cui è necessario mettere mano al più presto con apposite norme come chiesto dal presidente della Corte Costituzionale, Giancarlo Coraggio, al termine della relazione sull’attività della Consulta nel 2020 illustrata ieri alla presenza del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e delle alte cariche dello Stato tra cui il ministro della Giustizia, Marta Cartabia.
“Nonostante i toni esagitati della politica, il problema” del contrasto all’omofobia “è all’ordine del giorno del Parlamento e spero che questo riuscirà a trovare la quadra, una soluzione”. Secondo il presidente Coraggio “sicuramente una qualche normativa, come c’è in quasi tutti i Paesi del mondo, è opportuna” e non si comprende come mai l’Italia, per tutto questo tempo, abbia ignorato l’argomento. “Sulla questione”, osserva il presidente, “c’è una polemica e una discussione accesissima” eppure “io in genere sono portato a vedere anche quello che fanno gli altri” che, da tempo, hanno superato le divisioni dei diversi partiti.
Secondo Coraggio “la questione della tutela delle minoranze è sicuramente un problema mondiale, veramente planetario, che coinvolge il rapporto tra maggioranze e minoranze” e tale argomento è stato affrontato “nella mia relazione” in cui “ho detto che la introduzione di un diritto pone sempre un problema di rapporto con i diritti preesistenti” ma che non basta questo per giustificare i ritardi nella creazione di leggi ad hoc. Il presidente della Consulta, con un intervento pacato ma deciso, spiega anche che non è sua intenzione entrare nel dibattito politico e che “non ho studiato il ddl Zan proprio per non essere chiamato a dare un parere concreto sulle norme” la cui formulazione, com’è evidentemente, compete al Parlamento.
CAMBIO DI STRATEGIA. Quella sulla lotta all’omofobia è una partita complessa e rientra, al pari di quella sulla fecondazione assistita e il diritto al fine vita, tra i tanti “moniti” della Consulta che “in gran parte restano inascoltati” dal Parlamento. Temi per i quali la Corte Costituzionale è dovuta intervenire frequentemente, non ultimo il caso di dj Fabo, perché la Suprema Corte non può essere sorda o “inerte” a quelli che sono “nuovi diritti”, specie “quando sono in gioco quelli delle minoranze la cui tutela è il naturale campo di azione dei giudici, quali garanti di una democrazia veramente inclusiva” e che sono spesso legati a doppio filo ai diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione.
Così per superare il vecchio schema dei “moniti” al Parlamento che non sortiscono effetto, Coraggio rivela che esiste una nuova ricetta, già vista recentemente per il caso dell’ergastolo ostativo, su cui la Suprema Corte intende puntare anche per il futuro. “In mancanza di punti di riferimento normativi e in presenza di interventi complessi e articolati”, questa la strategia del presidente Coraggio, “la Corte si sente obbligata a privilegiare il naturale intervento del legislatore” ricorrendo “alla tecnica processuale della incostituzionalità prospettata” dove acclarata la contrarietà alla Costituzione di una norma, anziché dichiararne l’immediata illegittimità si preferisce “il rinvio a una nuova udienza per l’esame di merito, dando un anno di tempo al legislatore per disciplinare la materia”.