Il generalissimo, Francesco Paolo Figliuolo, arruolato come commissario all’emergenza Covid-19 per il bene del Paese, dalle prime fila del suo schieramento da settimane avanza urlando numeri. In principio l’obiettivo erano 500mila somministrazioni al giorno. Dopo non poca fatica per raggiungere i numeri annunciati, rilancia.
“Un milione di dosi al giorno”: ma non siamo nemmeno alla metà
Sì, neanche fossimo in una trasmissione di Wanna Marchi, annuncia: entro giugno un milione di somministrazioni al giorno. “L’imperativo categorico è accelerare. – afferma il generalissimo – Abbiamo già fatto molto, ma dobbiamo allungare il passo. Il mio obiettivo è superare le 500mila somministrazioni al giorno entro giugno. Occorre coinvolgere maggiormente i medici di base e le farmacie, in modo che il loro intervento passi dall’attuale regime di emergenza a una fase più strutturata”.
Numeri alla mano non si può, però, trascurare il fatto che dal 29 aprile al 10 maggio abbiamo raggiunto le 500mila somministrazioni solo quattro volte. Dunque l’impresa non sarà facile. ”In Italia ci sono circa 43mila medici di famiglia e 20mila farmacie – osserva Figliuolo – se ogni medico inoculasse dieci vaccini al giorno, otterremmo 430.000 dosi in più alle quali se ne potrebbero aggiungere altre 100.000 per il ruolo delle farmacie. Le previsioni sono approssimative, ma se aggiungiamo a queste proiezioni quello che già facciamo possiamo riuscirci.
Teniamo presente che i medici di base sono in grado di somministrare ogni anno 8-11 milioni di vaccini antinfluenzali in pochi mesi. I pazienti si fidano di loro, si rivolgono a loro con maggiore disponibilità rispetto a un anonimo seppur efficiente hub vaccinale. Giugno è il mese clou, quello giusto per dare la spallata – rileva il Generale – sarebbe dunque opportuno che da ciascuna regione venissero smistati i vaccini per medici di medicina generale e farmacie.
Il generale Figliuolo alza l’asticella delle promesse
Fino ad oggi abbiamo inoculato due dosi di vaccino a quasi 7 milioni e mezzo di italiani, mentre tra chi ha ricevuto solo la prima dose e chi le ha avute entrambe il totale delle somministrazioni ammonta a 24 milioni. Ora puntiamo l’attenzione a quelle regioni che non hanno ancora raggiunto l’80 per cento degli ultra ottantenni immunizzati”. “È importante che passi il messaggio che tutti i vaccini sono validi ed efficienti – dice Figliuolo – credo che il coinvolgimento dei medici di famiglia possa contribuire a dissipare dubbi e perplessità”.
Per l’immunità di gregge è “necessario che sia vaccinato l’80 per cento della popolazione. Obiettivo che contiamo di raggiungere a fine settembre. Ma due step importanti sono anche i mesi precedenti, quando riusciremo ad avere il 60 e il 70 per cento dei vaccinati. Oggi ci attestiamo intorno al 15 per cento”. Nel frattempo si punta non solo a spostare il coprifuoco serale ma anche a riformulare i parametri per l’analisi dei dati relativi al contagio.
Quindi si allarga il fronte di chi chiede una modifica del parametro indice Rt che ha un peso nella classificazione delle zone di rischio. Anche se il ministro Roberto Speranza predica pazienza: “almeno un’altra settimana prima di dare il via libera al coprifuoco alle 23 o a mezzanotte”. La sintesi del ragionamento è questa: gli effetti delle riaperture disposte il 26 aprile saranno visibili nel monitoraggio della prossima settimana. In sostanza, prolungare gli orari serali prima vorrebbe dire allentare un’altra misura al buio.
Dal 29 aprile al 10 maggio il target raggiunto solo 4 volte
Sembra invece tracciata la strada che porterà l’indice Rt sintomi – utilizzato finora per comprendere la tendenza dei nuovi contagi – ad essere soppiantato, o quantomeno affiancato, dall’indice Rt basato sui ricoveri. Ad insistere particolarmente per la modifica, che diminuirebbe le possibilità di un passaggio in arancione di almeno sei Regioni nel prossimo monitoraggio, sono i governatori. C’è da dire, poi, che secondo uno studio condotto dall’Ospedale San Raffaele di Milano in collaborazione con l’Istituto superiore di sanità (Iss), e pubblicato sulla rivista Nature Communications la presenza degli anticorpi dura almeno otto mesi dopo la diagnosi di Covid-19, indipendentemente dalla gravità della malattia, l’età dei pazienti o la presenza di altre patologie.
Ma c’è di più: chi non riesce a produrli entro i primi quindici giorni dal contagio è a maggior rischio di sviluppare forme gravi di Covid-19. “I risultati ci danno però anche due buone notizie – afferma Gabriella Scarlatti, che ha coordinato la ricerca – la prima è che la protezione immunitaria conferita dall’infezione persiste a lungo; la seconda è che la presenza di una pre-esistente memoria anticorpale per i coronavirus stagionali non costituisce un ostacolo alla produzione di anticorpi contro Sars-CoV-2. Il prossimo step è capire se queste risposte efficaci sono mantenute anche con la vaccinazione e soprattutto contro le nuove varianti circolanti”