di Angelo Perfetti
Il day after della celebrazione delle larghe intese è – come nel film omonimo Nicholas Meyer del 1983 – uno scenario di distruzione. A pezzi il presunto accordo tra Pd e Pdl, serissimi dubbi sulla reale copertura economica dei provvedimenti annunciati, l’Europa che di fatto ci commissaria, scontri interni ai dem; e ora anche la pubblicazione delle motivazioni della sentenza Mediaset a gettare, quasi ad orologeria, nuova benzina sul fuoco. 208 pagine di motivazioni della sentenza, che conferma la condanna a 4 anni per frode fiscale a Silvio Berlusconi, firmate in maniera inusuale da tutti i giudici del collegio della sezione feriale, presieduta da Antonio Esposito. Proprio lo stesso magistrato finito nella bufera per un’intervista al Mattino nella quale – appunto – esprimeva in via anticipatoria ciò che oggi è di dominio pubblico: secondo la Corte l’ex premier non poteva non sapere. La tempistica, pur legittima, non può non innescare quantomeno un dibattito: il collegio della sezione feriale della Corte di Cassazione, che il primo agosto scorso aveva confermato la condanna a 4 anni di Silvio Berlusconi per frode fiscale, ha infatti deciso di riunirsi in Camera di Consiglio proprio il giorno dell’Imu; ieri, conseguentemente, il deposito in cancelleria.
Le motivazioni della condanna
”La mancanza in capo a Berlusconi di poteri gestori e di posizione di garanzia nella società- afferma la Cassazione – non è dato ostativo al riconoscimento della sua responsabilità”. E ciò “alla luce dell’accertata continuità dei rapporti di tutti i personaggi-chiave: quei personaggi mantenuti sostanzialmente nelle posizioni cruciali anche dopo la dismissione delle cariche sociali da parte di Berlusconi e in continuativo contatto diretto con lui. L’avvio del sistema in anni di diretto coinvolgimento gestorio del dominus delle aziende coinvolte – Silvio Berlusconi – e, poi, l’evoluzione del medesimo sistema secondo schemi adattati alle modifiche societarie e anche alle necessità d’immagine esterna, ma con sostanziale perdurare dei caratteri essenziali del meccanismo fittizio complessivo – si legge – acquistano evidenza probatoria – nell’ottica della Corte d’appello – alla luce dell’accertata continuità dei rapporti di tutti i personaggi-chiave”. “La qualità di Berlusconi azionista di maggioranza e dominus indiscusso del gruppo gli consentiva pacificamente qualsiasi possibilità di intervento, anche in mancanza di poteri gestori formali. La permanenza di tutti i suoi fidati collaboratori ma anche correi ne costituisce la più evidente dimostrazione”.
La notizia di reato
I giudici della Suprema Corte che fanno proprie le conclusioni relative a un’imponente evasione fiscale a cui pervengono i giudici di merito, sottolineano anche come questi ultimi “attraverso l’analisi del cosiddetto ‘giro dei diritti’ ne hanno individuato le caratteristiche di meccanismo riservato direttamente promanante in origine da Berlusconi e avente, sin dal principio, valenza strategia per l’intero apparato dell’impresa a lui facente capo”. Sempre rifacendosi ai giudici di merito la Suprema Corte ripercorre il meccanismo illecito, “un gioco di specchi sistematico” relativo all’acquisizione dei diritti tv, che “rifletteva una serie di passaggi privi di giustificazione commerciale”. E “ad ogni passaggio, la lievitazione di costi era (a dir poco) imponente”.
Le attenuanti negate
Nessuna violazione di legge e nessun vizio di motivazione con riferimento al calcolo della pena base, all’aumento per la continuazione e alla mancata concessione delle attenuanti generiche, come invece sostenuto dalla difesa di Silvio Berlusconi, sono ravvisabili nella sentenza della Corte di appello di Milano. Per i giudici della Cassazione, “il giudice di merito ha fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sull’esercizio del proprio potere discrezionale in ordine alla determinazione della pena, ivi compreso il diniego delle attenuanti generiche, in considerazione della gravità materiale dell’addebito e della intensità del dolo dimostrato”.