Probabilmente c’era da aspettarselo. Dopo due anni e più di intese, promesse, chacchiere e summit di ogni tipo il risultato è che, tranne forse qualche caso sparuto, alle amministrative Pd e Movimento cinque stelle andranno al voto divisi.
Letta ha scoperto le carte
E – si badi bene – a nulla serve oggi dire che in caso di ballottaggio si troverà un naturale accordo tra le due forze politiche. E questo per due ordini di ragioni: innanzitutto al ballottaggio a decidere è formalmente il singolo elettore (che può o meno seguire quella che è solo un’indicazione di voto del partito; in secondo luogo perché è cosa più che evidente che un elettore del Pd non voterà per le destre, esattamente come non farà un elettore del Movimento cinque stelle. Sarebbe invece stato ben diverso se Giuseppe Conte ed Enrico Letta avessero trovato una quadra già al primo turno.
E invece nulla di tutto questo è avvenuto per evidenti strategie errate. Il caso più eclatante è senz’altro quello di Roma. Da parte sua Conte forse ha impiegato decisamente troppo tempo prima di benedire definitivamente la candidatura di Virginia Raggi. Ancora peggio si è rivelata la strategia di Letta: prima ha congelato la candidatura di Roberto Gualtieri, poi ha pressato oltre ogni modo Nicola Zingaretti, infine è tornato sui suoi passi rilanciando l’ex ministro dell’Economia col governo Conte2 per il Campidoglio. Sarebbe invece stato sicuramente più naturale appoggiare la Raggi per il semplice principio che, esattamente come accadrà a Milano (altra città dove non ci sarà alcuna alleanza tra Pd e Cinque stelle), sarebbe stato fisiologico appoggiare la sindaca uscente per dare continuità al suo operato.
L’accordo con i 5Stelle vale solo se il Pd piglia tutto
Ma Roma non è l’unica città in cui Pd e Cinque stelle andranno divisi, contrariamente alle aspettative di tanti a cominciare dagli stessi leader. Ormai anche la carta Roberto Fico su Napoli è praticamente già prossima ad essere scartato dopo il niet arrivato soprattutto da Vincenzo De Luca, uomo – si sa – senza l’appoggio del quale è difficile essere competitivi. Stesso discorso anche a Torino dove, dopo la decisione di Chiara Appendino di non ricandidarsi, è stato il Pd con Piero Fassino e Sergio Chiamparino a chiudere ogni tipo di dialogo. Insomma, nessuna alleanza. Neanche in Calabria, terra martoriata da anni di pessima gestione della cosa pubblica.
Risultato? Il Pd candida il giovane Nicola Irto, ma per i Cinque stelle è un nome troppo legato al vecchio modo di fare politica. E, a meno che alla fine i pentastellati non appoggino Luigi de Magistris, sono candidati a un’altra clamorosa debacle, dato che sono due elezioni (2014 e 2020) che il Movimento resta fuori dal consiglio regionale. Anche questa sarebbe stata un’ottima opportunità per risorgere. Bisognerà attendere. Sperando in tempi migliori. Forse.