Il Tg3, una delle colonne informative della Rai, nacque nel 1979 per effetto della spartizione tra i partiti, per la quale Rai 1 era nella sfera d’influenza della Dc, Rai 2 del Psi e Rai 3 del Pci. Quindi il criterio con cui era stato originato questo Tg non sembrava promettere bene. In realtà poi in poco tempo, grazie soprattutto al mai dimenticato Sandro Curzi, direttore dal 1987 al 1993, e al carisma di un direttore di rete come Angelo Guglielmi, diventò un vero e proprio cardine dei nuovi linguaggi televisivi per quegli anni.
Il periodo in cui il Tg3 consolidò la sua identità “corporate” fu la fine degli anni ’80, coincidenti con grandi rivolgimenti sociali come la caduta del Muro ma anche con il Craxismo, la fine della Prima Repubblica e la progressiva sconfitta del terrorismo brigatista. Il Tg3 seppe narrare l’evoluzione del Partito comunista nel Partito democratico in maniera puntuale e originale ma non appiattita. Rispetto al Pci il Tg di Rai 3 si dimostrò sempre più moderno, più aperto ai movimenti e più, oseremmo dire, “populista”.
Ricordiamo che da una sua costola nacque un programma che ha fatto la storia della tv, Samarcanda, all’inizio emanazione del Tg della Terza rete grazie alla collaborazione con la sua redazione e con un conduttore, l’allora giovane e promettente Michele Santoro, sempre protagonista dell’informazione italiana come abbiamo visto recentemente col libro su Avola e con lo Speciale Mafia in onda su La7. Ma il Tg3 non fu solo importante dal punto di vista dei linguaggi e per la sua capacità di raccontare la politica internazionale, fu pure una fucina di personaggi tuttora punti di riferimento dell’immaginario televisivo: da Antonio Di Bella a David Sassoli, da Mariolina Sattanino a Giulio Borrelli, per citarne alcuni.
Per non parlare dei direttori: dopo Agnes, Di Schiena e il già citato Curzi, si sono avvicendati nomi prestigiosi come Lucia Annunziata, Nuccio Fava, Nino Rizzo Nervo, lo stesso Di Bella, Bianca Berlinguer, Luca Mazzà, Giuseppina Paterniti (nella foto) fino a Mario Orfeo, ora al timone e che ha ereditato un Tg in ottima salute e una redazione agguerrita e ferrata. Con il Tg3 del passato quello di oggi ha solo qualche pallido punto in comune, è diventato una portaerei con tante rubriche disseminate nel palinsesto come per esempio Fuori Tg curato da Mariella Venditti oppure Linea Notte con Maurizio Mannoni o ancora Pixel.
Grazie a questi ulteriori format gli ascolti si mantengono su consolidati livelli, come conferma OmnicomMediaGroup. Nel periodo settembre 2020-febbraio 2021 il Tg3 delle 14,25 ha tenuto una media di 2.090.917 spettatori col 13% di share (+2,1% rispetto all’omologo della scorsa stagione); per l’edizione delle 19 invece 2.625.438 spettatori medi con il 13,1% di share (+2,1% di share). Crescono anche le rubriche: per esempio Linea Notte segna 496.951 spettatori e il 5,5% di share (+0,6%). Passando al profilo, i maschi (14,1% di share) prevalgono sulle femmine (12,3%) mentre spicca il target laureati col 20% di share, superiore alla media.
A livello territoriale tre regioni del Sud registrano gli share più bassi, ovvero Sicilia (7,3%), Puglia (9,5%) e Campania (9,6%), mentre al top troviamo Friuli V.G. (25,3%), Molise (20,6%), Liguria (20%), Valle d’Aosta (18,7%), Trentino A.A. (16,2%), Veneto (15,5%) e Sardegna (15,4%). Il dato sulle fasce d’età, con gli over 65 primi al 17,4% di share, conferma come negli anni il pubblico del Tg3 sia invecchiato, seguendo l’andamento dell’elettorato di centrosinistra: da telegiornale barricadero e luogo identitario di un soggetto politico innovativo e riformista della politica italiana si è tramutato in un puntellatore di alcuni capisaldi del pensiero ‘radical’ di sinistra, con assi portanti come la condanna delle disuguaglianze, la tutela del consumatore, la lotta alla criminalità organizzata e la presenza sul territorio.
Ora che La Repubblica con Maurizio Molinari sta diventando sempre di più un foglio della ‘gauche dirigente’, a custodire i valori della sinistra tradizionale è rimasto solo il Tg3.