di Valentino Laureti
L’autorità garante della concorrenza e del mercato si scaglia contro gli avvocati. L’Agcm ha infatti deciso l’avvio di una istruttoria nei confronti del Consiglio nazionale forense per accertare l’esistenza di eventuali intese restrittive della concorrenza. L’Antitrust vuole fare luce su due distinte condotte troppo limitative dell’autonomia dei singoli avvocati in merito alla determinazione dei compensi e alla ricerca di nuova clientela.
Nodo tariffe
Per quanto riguarda la questione dei compensi, l’Agcm contesta la posizione assunta dagli avvocati dopo le liberalizzazioni di Bersani. Il Cnf infatti, pur ribadendo che le tariffe minime non sono più obbligatorie, non esclude che le parti possano comunque concludere un accordo facendo riferimento ai prezzi previsti da appositi decreti ministeriali richiamati nel sito dell’associazione. Sempre l’organizzazione precisa che nel caso in cui l’avvocato concluda patti che prevedano un compenso inferiore al minimo tariffario, pur essendo il patto civilisticamente legittimo, potrebbe entrare in conflitto con il codice deontologico perché un compenso al di sotto della soglia ritenuta minima “lede la dignità dell’avvocato”. Per l’Antitrust però in tal modo si finisce per mantenere una sorta di listino prezzi evitando lo sviluppo di una vera concorrenza.
La pubblicità
L’Agcm contesta anche il parere del Cnf, in cui si afferma che l‘utilizzo da parte degli avvocati di circuiti informatici per la promozione della propria attività sia contrario al divieto di accaparramento di clientela sancito dal Codice deontologico. Per l’associazione farsi pubblicità in rete comporterebbe “lo svilimento della prestazione professionale da contratto d’opera intellettuale a questioni di puro prezzo e mera convenienza economica”. Per l’Autorità questa posizione non solo limita l’impiego di un importante canale di distribuzione dei servizi, ma penalizza anche i consumatori cui viene negato di avere accesso ad una più ampia offerta a condizioni vantaggiose.