Per lungo tempo le manutenzioni lungo la rete autostradale in concessione sembrano essere state l’ultimo dei pensieri di Aspi. A confermare il pesante quadro tratteggiato dalla Procura di Genova chiudendo l’inchiesta sul crollo del Ponte Morandi (leggi l’articolo) è arrivata ieri una sentenza del Consiglio di Stato che, a distanza di otto anni dal provvedimento nei confronti di Autostrade per l’Italia emesso dal Comune di Varazze, ha avallato l’ordinanza con cui l’ente locale, ben cinque anni e mezzo prima della tragedia costata la vita a 43 persone, aveva ordinato alla società dei Benetton di eseguire le opere di manutenzione delle protezioni marginali e delle reti metalliche di protezione sui cavalcavia autostradali. Un pericolo scovato sempre in Liguria, quando di indagini sui mancati lavori lungo le principali arterie italiane ancora non c’era traccia.
FATTI INQUIETANTI. La Procura di Genova, alla luce soprattutto delle indagini svolte dalla Guardia di finanza, ha inviato avvisi di garanzia a 71 indagati, ipotizzando i reati di attentato alla sicurezza dei trasporti, crollo colposo, omicidio colposo, omicidio stradale e rimozione dolosa di dispositivi per la sicurezza dei posti di lavoro. Un’inchiesta in cui sono coinvolti anche l’ex amministratore delegato di Aspi, Giovanni Castellucci, l’ex numero due Paolo Berti e l’ex numero tre Michele Donferri Mitelli.
Per gli inquirenti liguri, già dal 1990 la società Autostrade sapeva che nella pila 9 del Ponte Morandi, quella crollata il 14 agosto 2018, vi erano “due trefoli lenti e due cavi scoperti su quattro”. La risposta però, sempre per la Procura, sarebbe stata il solo calo del 98,05% della spesa nelle manutenzioni, risparmiando una montagna di denaro e aumentando così gli utili. Nel 2013 il viadotto Polcevera venne inserito nel Catalogo dei rischi, con un “rischio di crollo per ritardati interventi di manutenzione”, ma di lavori neanche l’ombra. In 51 anni, hanno sottolineato gli inquirenti, sul Ponte Morandi non è “mai stato eseguito il benché minimo intervento manutentivo di rinforzo sugli stralli della pila”.
LA SENTENZA. Ieri il Consiglio di Stato ha avallato l’ordinanza emessa otto anni fa dal Comune di Varazze, in provincia di Savona. L’ente locale ligure aveva imposto ad Aspi la manutenzione delle protezioni marginali e delle reti metalliche sui cavalcavia autostradali. Per tutta risposta la società autostradale aveva però impugnato quel provvedimento. Nel 2014 il Tar aveva confermato l’ordinanza, ma Autostrade per l’Italia ha fatto appello e la sentenza, con cui lo stesso è stato rigettato, è appunto di ieri.
Aspi ha sostenuto che il provvedimento era illegittimo, “per l’insussistenza dei presupposti necessari per l’adozione di ordinanze siffatte”, e ha aggiunto che quei lavori spettavano allo stesso Comune di Varazze, che avrebbe cercato di imporli indebitamente all’azienda. Tesi sconfessata dai giudici amministrativi, ritenendo sussistente “un grave pericolo che minaccia l’incolumità pubblica”, oggetto “di specifica istruttoria e motivazione”.
Tanto che prima dell’ordinanza era stata accertata anche la caduta di materiali sulla sede stradale. E lo stesso Consiglio di Stato ha escluso che a quelle manutenzioni dovesse badare il Comune, bollando come infondato l’appello di Aspi. E dopo l’ordinanza ignorata sono arrivati sia il crollo del Morandi che i troppi problemi emersi dalle indagini in corso sulla gestione della rete autostradale in concessione.