Si sarebbe dovuto tenere ieri il Consiglio dei ministri chiamato a un primo esame del Piano di nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) ma il testo ha richiesto ulteriori “confronti” e così l’appuntamento a Palazzo Chigi è slittato a oggi. Il via libera arriverà con un secondo Cdm, che si svolgerà a metà della prossima settimana, dopo l’informativa che il premier terrà alle Camere lunedì e martedì.
Superbonus, niente proroga: lavori condominiali a rischio. Via pure Quota 100
Mugugnano i ministri, scalpitano i partiti. Lamentano i tempi stretti per l’esame di un testo di cui sono venuti a conoscenza “all’ultimo momento” e non intendono mollare sulle richieste che a loro stanno più a cuore. Vedi il M5S che non vuole cedere sulla proroga al 2023 del superbonus 110%. In realtà, nella bozza di 318 pagine circolata ieri, a pagina 156 si legge che “si intende estendere la misura del Superbonus 110% dal 2021 al 2023”. Ma i pentastellati vogliono avere garanzie sulle risorse.
Quelle – pari a 18,5 miliardi – inserite nelle tabelle del Pnrr e del Piano complementare assicurano la copertura della norma solo fino al 2022. “Il riferimento alla data del 2023 non ci rassicura affatto. Abbiamo bisogno di avere la garanzia che la proroga sia almeno a fine 2023 per tutte le tipologie di edifici e che ci siano 10 miliardi in più rispetto ai 18 già precedentemente stanziati”, dichiara Riccardo Fraccaro, padre della norma. Ma il M5S in questa battaglia non è solo.
Da Forza Italia alla Lega, passando per il Pd e gli industriali, tutti chiedono la proroga. Mario Draghi, poi, manda in soffitta la misura bandiera di Matteo Salvini. A pagina 29 c’è scritto che “la fase transitoria di applicazione della cosiddetta Quota 100 terminerà a fine anno e sarà sostituita da misure mirate a categorie con mansioni logoranti”. Norma che tra le altre cose non era risultata all’altezza delle aspettative. Tra il 2019 e il 2020 risulta che vi abbiano fatto ricorso 267mila lavoratori.
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La fine di Quota 100
La Lega rilancia con il sottosegretario leghista Claudio Durigon: “Quota 100 non è più sufficiente. Occorre andare oltre, puntare a quota 41 (riferito agli anni di contributi, ndr) e a strumenti che diano ancor più flessibilità in uscita”. Nella premessa della bozza firmata dal premier si precisa che il piano si articola in 6 missioni: digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per una mobilità sostenibile; istruzione e ricerca; inclusione e coesione; salute.
Ai progetti ‘verdi’ andranno il 38% delle risorse, a quelli digitali il 25% e il 40% circa al Sud. Quattro le riforme “di contesto” indicate: pubblica amministrazione, giustizia, semplificazioni, concorrenza. Tra le riforme di accompagnamento ci sono quella del fisco e quella degli ammortizzatori sociali. Tre le priorità: parità di genere, giovani e superamento dei divari territoriali. L’impatto sulla crescita del Piano da 191,5 miliardi in arrivo dal Recovery fund – a cui si aggiungono i 30 del fondo complementare – si prevede pari al 3,6% nel 2026. Per quanto riguarda la governance si conferma che il cuore operativo sarà il Mef che vigilerà sull’attuazione del Piano e sarà responsabile dell’invio delle richieste di pagamento alla Commissione europea.
Le amministrazioni territoriali sono invece responsabili dei singoli investimenti e delle singole riforme e saranno supportate da task force. La supervisione politica del piano rimane salda nelle mani di Supermario. Viene affidata a un comitato istituito presso la presidenza del Consiglio a cui partecipano i ministri competenti. Verranno coinvolti anche le parti sociali e gli enti locali. Ma non è detto che l’assetto accontenti tutti, le forze politiche reclamano collegialità. Tra gli interventi per la sanità previsto un Centro di eccellenza per le epidemie.