di Mimmo Mastrangelo
Le date sono importantissime quando fanno la storia di una città. 22 maggio del 1963: il Milan conquista la Coppa dei Campioni (la prima per un club italiano), battendo a Wembley il Benfica per 2-1 con una doppietta di Altafini, dopo che i portoghesi erano rimasti in vantaggio per tutta la metà del match con una rete del loro fuoriclasse Eusebio. Quattro giorni dopo a San Siro l’Inter pareggia 1-1 col Torino del capitano Enzo Bearzot e festeggia il suo ottavo scudetto. Indimenticabile quel maggio di cinquat’anni fa per Milano, che sarà nel corso di un decennio la capitale del calcio mondiale. Personaggi simboli di quell’epoca magica, in cui i club nerazzurro e rossonero conquistarono la vetta del pianeta, furono i due allenatori Helenio Herrera e Nereo Rocco. E a loro è dedicata la mostra di Palazzo Reale a Milano “Quelli che Milan-Inter ‘63: la leggenda del Mago e del Paron”, ideata e curata dal giornalista Gigi Garanzini, aperta fino all’8 settembre. Quando fossero diversi per carattere, abitudini e pratica della professione i due tecnici lo si può capire dalla parole del comune amico Gianni Brera. Visto dal quel maestro di giornalismo nonché geniale inventore di imperiture etichette che fu il Gioanbrerafucarlo “Herrera è un lavoratore straordinario, una forza della natura, un invasato… Esce di casa Pirgopolinice e rientra Tartuffe; siede in panchina Napoleone e se ne rialza Bertoldo…”. Invece “Rocco sa tenere alto il morale, servendosi dell’invettiva sarcastica e dell’esclamazione bonariamente, a volta buffonesca da personaggio rustico della commedia dell’arte (non è un caso che, vivendo a Padova, ricalchi il Ruzante). I suoi metodi di conduzione tattica e morale sono semplici, ma estremamente efficaci”. Herrera nacque povero nel 1910 a Buenos Aires. La sua leggenda maturò in Spagna negli anni ‘50 con gli scudetti di Atletico Madrid e Barcellona. Poi arrivò l’Inter con 3 scudetti tra il ‘62 e il ‘65, due coppe dei campioni e due trofei intercontinentali. Sull’altra sponda Nereo Rocco fu un triestino tenacissimo, classe 1912, figlio di un ricco commerciante di carni: 250 presenze con la Triestina e poi da allenatore gli scudetti, le coppe campioni, la coppa intercontinentale e due coppe delle coppe con il Milan. Carriere prestigiose e vite parallele. Maestri di un gioco che valorizzava il talento e comunicatori insuperabili. La mostra è il racconto di una Milano che non c’é più ma che non è scomparsa del tutto.