di Angelo Perfetti
Un Letta bis sarebbe semplicemente un altro Letta. Non abbiamo dato la fiducia al governo Letta, non vedo perché dovremmo dare la fiducia a un Letta bis. Il vicepresidente grillino della Camera, Luigi Di Maio, intervistato a SkyTg24, è categorico. Una frase, secca, ma che pesa moltissimo sulle scelte che il Pdl potrebbe fare a breve. Il mandato esplorativo che il Cavaliere ha dato ad Alfano non ha portato buoni risultati: Il Pd è compatto sulla scelta di far decadere Berlusconi. La più buonista – il che è tutto dire – è stata la Rosy Bindi che ha invitato il Cav a farsi fuori da solo, dimettendosi, per poi sperare nella clemenza del Colle (quella della corte, come sappiamo, non c’è stata). Con questo scenario, e con i sondaggi che danno il Pdl avanti di oltre un punto sul Pd, potrebbe essere una soluzione andare subito alle urne, con la legge attuale, e sperare nella vittoria. I cosiddetti “falchi” lo stanno ripetendo giorno dopo giorno, riunione dopo riunione. E con i segnali poco incoraggianti che arrivano da sinistra, la soluzione potrebbe essere molto vicina. Anche perché – e qui c’entrano i grillini – lo spauracchio che l’Esecutivo mette avanti è quello di intese alternative, di transfughi che potrebbero passare in una nuova maggioranza “responsabile”, le maggioranze variabili di democristiana memoria. Eppure nessuno ricorda che fu lo stesso Letta, nel febbraio 2012, parlando di riforma del mercato del lavoro col governo Monti in carica, a dichiarare dalle colonne dell’Unità che “non è neanche immaginabile che una riforma di questo tipo possa essere fatta senza l’intesa tra i tre soggetti politici che in Parlamento sostengono il governo. Non esistono maggioranze ’à la carte’ variabili, con Pd, Pdl e Terzo polo alleati due contro uno in modo diverso a seconda dei temi”. Inutile sottolineare come oggi la linea, per coerenza, dovrebbe essere la stessa. Ma per “tenere”, questa maggioranza deve sciogliere in nodo Berlusconi, e l’atteggiamento del Pd non sembra utile a questo scopo.
La variabile congressuale del Pd
“Se il Pd apre la crisi non c’è nessuna altra possibilità di nessun altro governo, di nessuna altra maggioranza. A quel punto le elezioni sono inevitabili, e le elezioni saranno il prodotto delle fibrillazioni, delle tensioni, delle rotture sconvolgenti all’interno del Pd che sotto congresso non consente a nessuno di avere posizioni ragionevoli, Ma tutti devono avere posizioni fondamentaliste’’. Il capogruppo Pdl Renato Brunetta, getta la croce sul Partito democratico. ‘’Il Pd – sostiene Brunetta – è sotto congresso. Tutti, ma proprio tutti, devono fare la faccia feroce su Berlusconi per non essere spiazzati all’interno del dibattito congressuale, e quindi vediamo un ridicolo balletto di dichiarazioni, secondo cui, senza se e senza ma, Berlusconi deve decadere’’. Da questo punto di vista, aggiunge il capogruppo alla Camera, ‘’non c’è più niente da fare, bisogna allargare le braccia e dire: questa è una posizione politica, una pregiudiziale politica, che non fa altro che aprire la crisi ad opera del Partito democratico. Perché in una coalizione, in un momento così difficile e drammatico per il Paese e per la nostra democrazia, quando un grande partito, democratico, si chiama così, come il Partito democratico, in un passaggio cosi’ delicato ha semplicemente posizioni politiche congressuali, cioè di parte, e non pensa al merito della questione, e anche alle conseguenze delle sue decisioni, allora non ci resta che allargare le braccia’’. ‘’Prendiamo atto che se così sarà, speriamo di no, il Pd aprirà la crisi, e con la crisi ne subirà tutte le conseguenze’’.
Le ragioni del centrosinistra
‘’Non siamo al governo a tutti i costi. In questa partita ci giochiamo l’anima’’. Per il candidato alla segreteria del Pd Gianni Cuperlo, la decadenza di Berlusconi è un atto dovuto, scontato. La destra deve capire che noi non possiamo arretrare di un millimetro, perché ne andrebbe di mezzo la nostra concezione della democrazia. Non abbiamo mai immaginato di risolvere la vicenda per via giudiziaria – assicura Cuperlo – secondo cui la decadenza è una questione di ‘’coerenza’’ rispetto ai ‘’principi dello Stato di diritto’’. Il Pd, dice, ‘’non si spaccherà. Sul principio non cederà. Dovesse cedere, semplicemente non ci sarebbe più il Pd. Quel che non funziona a destra – osserva l’esponente democratico – è un’idea del consenso elettorale come potere sovraordinato agli altri. Ma quella è la premessa dell’assolutismo. L’opposto di quell’equilibrio dei poteri elaborato da un paio di secoli”. Stando così le cose, c’è poco da sperare in un governo che duri. Il Pd ha scelto la propria linea, il Pdl la sua, il Movimento 5 Stelle ha la propria. E nessuna incrocia le altre. Le larghe intese, se mai ci siano state davvero, sono solo una mera dichiarazione di principio. Ma qui ormai siamo alla fine.