Milo Infante col suo talk pomeridiano “Ore14” (qui su Rai Play) ha raddoppiato gli ascolti pomeridiani di Rai Due. Più di un’ora al giorno dedicata all’informazione e all’approfondimento: cronaca, politica, costume e attualità. “Una sfida – ci dice il vicedirettore Rai – vinta assieme al direttore di Rai Due, Ludovico Di Meo, che in questo progetto ha creduto e investito”.
Hai riportato la cronaca e il racconto della società su una rete che in una fascia oraria da tempo si occupava di altro. Una scommessa risultata vincente.
“La premessa è che stata una sfida e un’idea maturate con Di Meo. Ci siamo ritrovati nel marzo dello scorso anno a ragionare sulla necessità, proprio in questa fase critica con la pandemia in corso, di creare un appuntamento che potesse essere un punto di riferimento per i telespettatori di Rai Due per avere informazioni sul momento. Quindi con grande coraggio da parte di Ludovico e fatica da parte mia abbiamo messo in piedi, dopo anni di intrattenimento di altri programmi, una fascia che ci sta dando grandi soddisfazioni”.
Com’è cambiato il racconto televisivo dopo il Covid?
“Abbiamo meno mezzi. E la crisi ha portato a un taglio, giustamente, dei costi e degli investimenti e a una riduzione degli spostamenti. Avere parte della redazione in smart working e dover gestire per i giornalisti trasferimenti difficoltosi ha comportato tutto un aggravio di lavoro”.
È cambiata la società dopo la pandemia?
“Sì e in peggio. Noi avevamo già un’emergenza legata all’incapacità dei ragazzi di socializzare. I nostri figli oggi sono come galli di combattimento, carichi a mille, si affrontano e confrontano solo sui social. Dove nascono insulti e rivalità. I giovani, soprattutto quelli più fragili, non vogliono più uscire di casa, perché nella cameretta hanno trovato il loro mondo. E questo è inquietante. Mai come quest’anno nella cronaca ci sono stati episodi spaventosi. Una delle notizie che più mi ha colpito è stata quella del 13enne in provincia di Brescia a cui lo zio ha messo in mano la pistola e gli ha detto ‘vai a sparare al mio rivale in amore’. I ragazzi non hanno più riferimenti positivi”.
Quale ruolo pedagogico potrebbe svolgere in questo caso la televisione?
“Ci sono stati anni in cui in cui chi faceva cronaca nera era considerato alla stregua di un voyeur che si metteva alla finestra a spiare il delitto. La vera chiave di lettura è quella di andare oltre il fatto, senza morbosità, per cercare di capire le ragioni profonde alla base di quanto accaduto. La domanda è: perché un ragazzino di 13 anni fa questo?”.
In studio hai tre ragazzi come ospiti fissi. Come mai questa scelta?
“Purtroppo per via delle restrizioni sono solo tre. Avrebbero dovuto essere in 15. Una scelta che nasce dal desiderio di dare voce ai giovani troppo spesso ignorati. Cosa pensano loro di noi? Non glielo chiediamo mai”.
Siamo alla fine quasi della stagione, è tempo di bilanci.
“è stato un anno estremamente faticoso, il più duro da quando sono in Rai. Abbiamo aperto la trasmissione al 2% ora siamo al 5, abbiamo più che raddoppiato gli ascolti. Ma abbiamo lavorato per scovare ascoltatore su ascoltatore attraverso un lavoro certosino che non conosce sosta. Abbiamo riconquistato gli ascolti. È una cosa che mi riempie di orgoglio. Ci sono stati momenti di sconforto ma abbiamo avuto un direttore di rete che ci ha creduto in questo progetto e ci ha sostenuto”.
Le reti generaliste hanno perso ascolti: questo è avvenuto per la concorrenza di piattaforme alternative o il calo è da addebitare a una mancanza di idee?
“C’è da considerare un dato: i giovani, assuefatti ai tablet e ai cellulari, non guardano più la tv. Davanti a un programma di due ore vanno a cercare quel frammento che già il web ha selezionato per loro. La televisione generalista ha regole differenti. Uno dei motivi per cui il programma è cresciuto è perché prima durava 50 minuti, che sono pochissimo in tv, mentre adesso dura un’ora e un quarto. Con più possibilità di catturare il pubblico. La grande sfida della televisione in futuro sarà quella di trovare un compromesso tra le esigenze delle tv generalista classica e le nuove necessità sorte dall’utilizzo delle piattaforme diverse. Naturalmente occorre rinnovarsi come sta facendo Rai Due. Ludovico Di Meo si è trovato con una rete stravolta, ai minimi termini, da ricostruire completamente. Lo sforzo che sta facendo il nostro direttore è quello di ridarle un’identità che aveva completamente smarrito”.