Giurano di non volere le poltrone, ma poi chissà come mai i leghisti ne conquistano ogni giorno di nuove. L’ultima è quella di presidente della Conferenza delle Regioni, passata ieri al governatore del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga. La maggioranza degli Enti – si dirà – è guidata dalle destre e quindi gli tocca. Invece al Copasir, la Commissione parlamentare sui Servizi segreti, la presidenza spetta alle opposizioni.
Qui però il deputato del Carroccio Raffaele Volpi non ci pensa proprio a dimettersi per far posto alla Meloni. Due pesi e due misure, insomma. D’altra parte, quando la Lega uscì dalla maggioranza giallo-verde col tradimento del Papeete, i suoi presidenti di Commissione alla Camera e al Senato si asserragliarono per un anno nei loro uffici prima di cedere la mano. Quello fu il periodo più nero per i notabili del partito di Salvini, perché una volta conosciuti gli agi degli scranni di ministri e sottosegretari del governo Conte I, lasciare tutto risultò durissimo, tanto che all’interno cominciarono a mettere in discussione il segretario, chi puntando su Giorgetti, chi su Zaia, più “democristiani” e per questo geneticamente incapaci di rinunciare a qualunque strapuntino di potere.
Rientrati in maggioranza con Draghi, i leghisti hanno appagato in parte la sete di poltrone, ma a prezzo di sacrificare molti consensi per la mancanza di vaccini e ristori. Da qui la strategia già usata con Di Maio: i meriti del governo si incassano e i demeriti si scaricano. Vittima sacrificale, questo giro, è il ministro Speranza, che però nell’ultima conferenza stampa è stato letteralmente blindato dal premier. Per Salvini & C. che accusano il responsabile della Salute di tutto, a partire dalle limitazioni anti-Covid prese in base a una “logica miope dei dati sanitari” dovrebbe essere consequenziale prenderne le distanze e rinunciare a governarci insieme. Ma la lezione dev’essere bastata e stavolta con fischio che i leghisti lasciano le poltrone.
Tanto in passato gli elettori di destra non hanno fatto un plissé sul Carroccio di lotta e di governo. Un’incoerenza che però stavolta ha un alternativa nel campo attiguo. E non a caso Giorgia cresce nei sondaggi mentre Matteo scende.