Per molto meno è stato dichiarato il dissesto di tanti enti locali e numerosi imprenditori sono finiti davanti a un Tribunale. Nel bilancio dello Stato, visto quanto specificato ieri dalla stessa Corte dei Conti, continuerebbero invece senza problemi ad essere inseriti come crediti esigibili miliardi di euro di cui nelle casse pubbliche proprio i magistrati hanno stabilito che non arriverà mai un centesimo. Tanto per fare un esempio, stando appunto all’esito dell’indagine contabile sulla gestione dei residui di riscossione nel bilancio dello Stato (qui la delibera integrale), ogni anno vengono considerati di “riscossione certa” tra i 160 e 170 miliardi di euro, mentre “in concreto” ne vengono effettivamente riscossi 7, massimo 8 miliardi.
Un Paese insomma che si poggia su una montagna di denaro inesistente, con il risultato, come emerso nelle recenti audizioni in Parlamento dello stesso direttore dell’Agenzia delle entrate, Ernesto Maria Ruffini (nella foto), che si continua a dare la caccia a somme di fatto inesigibili accantonando il recupero di quelle che potrebbero essere riscosse. Il risultato? Continuando a tentare improbabili recuperi dai vecchi evasori si finisce per non far pagare anche quelli nuovi, che nel tempo potranno ricorrere alle stesse scappatoie dei loro predecessori, con buona pace di chi le tasse le paga e non avvia mille contenziosi davanti agli stessi avvisi di accertamento.
Nella deliberazione della sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato della Corte dei Conti, presieduta da Carlo Chiappinelli, viene specificato che “la gestione e rendicontazione dei resti da riscuotere, come risultante dal Rendiconto generale dello Stato e dall’Allegato 24 al conto consuntivo delle entrate, presenta numerose criticità”.
IL RAPPORTO. I magistrati specificano che le somme di riscossione certa dovrebbero avere un elevato livello di affidabilità ed attendibilità, ma vi è invece una divergenza tra gli importi ritenuti tali nel conto consuntivo, considerati ai fini della determinazione del valore delle entrate complessive, e quelli effettivamente riscossi. Nel Rendiconto sono contabilizzati residui di riscossione di rilevante entità e sono in costante crescita: 650,8 miliardi nel 2014, 842,2 miliardi nel 2018 e ben 889,3 miliardi nel 2019, con un incremento annuale di circa 50 miliardi. Ma appunto solo sulla carta. E tutto “non risultando sufficientemente dimostrati i criteri di costruzione delle stime effettuate o comunque delle annotazioni contabili relative alle somme ritenute di riscossione certa”.
In pratica un’alchimia contabile, con cui occorrerà prima o poi fare i conti e di cui sembrano godere gli evasori. Al 31 dicembre 2019, del resto, i magistrati hanno appurato che risultavano pendenti presso le sole Commissioni tributarie provinciali circa 102mila ricorsi. Senza contare che sono ingentissime pure le somme riconosciute assolutamente inesigibili e su cui dunque lo Stato ha già gettato la spugna: oltre 719 miliardi per l’esercizio 2019. Ma c’è di più. La Corte dei Conti evidenzia infatti vi sono “discordanze contabili e rettifiche automatiche poste in essere dal sistema informativo della Ragioneria generale dello Stato, che hanno inciso sulla veridicità e attendibilità dei dati contabili di bilancio”. Somme inesigibili relative per circa il 78% all’IVA, alle sanzioni relative alla riscossione delle imposte dirette, all’Irpef, all’Ires e alle sanzioni relative alla riscossione delle imposte indirette.
LA PROSPETTIVA. Per la Corte dei Conti è ora di cambiare rotta, scorporando dalle somme considerate di riscossione certa le dilazioni di pagamento concesse e, soprattutto, le somme per le quali pende un contenzioso giurisdizionale. Relativamente poi ai problemi riscontrati con la Ragioneria dello Stato i magistrati ritengono possano arrivare soluzioni con l’introduzione dell’istituto del cosiddetto accertamento qualificato. Chieste infine dalla Corte dei Conti una riconduzione dei carichi residui affidati all’Agente della riscossione, per arrivare “a una rappresentazione più plausibile”, e l’attivazione di prassi ordinarie di cancellazione dei crediti arretrati ritenuti inesigibili.