Tante promesse per il Sud, ma l’economia del Mezzogiorno resta con il freno a mano tirato. Una ricerca appena diffusa dall’Ufficio studi di Confcommercio sostiene che negli ultimi venticinque anni la quota di Pil prodotta dalle regioni del Mezzogiorno sul totale nazionale è diminuita, passando da oltre il 24% del 1995 al 22% del 2019, con un livello di occupazione che ha evidenziato una crescita cumulata pari ad appena un quarto della media nazionale (4,1% contro il 16,4%).
Un fenomeno, quest’ultimo, che sconta prevalentemente gli effetti della riduzione della popolazione residente, in particolare quella giovanile, che al Sud si è ridotta di oltre 1,5 milioni nel periodo considerato. Tra le principali cause di questa disparità, secondo l’Ufficio studi di Confcommercio “difetti strutturali come burocrazia, criminalità e carenze infrastrutturali”.
Se tali difetti “fossero ridotti in modo tale da portarne le dotazioni ai livelli osservati nelle migliori regioni italiane, il prodotto lordo meridionale crescerebbe a fine periodo di oltre il 20%, con la creazione di circa 90 miliardi di euro, rispetto ad uno scenario in assenza di interventi”, afferma la ricerca. Ma le differenze nel frattempo aumentano, almeno a partire dalla crisi finanziaria globale del 2008 con lo storico default della banca Lahman Brother.
Il rapporto tra prodotto pro capite reale di un abitante del Sud Italia rispetto a quello di un abitante del Nord-ovest scende da 0,55 (55%) a 0,52. Insomma, poco più della metà, con tendenza a peggiorare. In termini di popolazione, il peso del Sud sul totale italiano passa dal 36,4% al 33,9% ma è ben più grave la questione della popolazione giovanile: tra il 1995 e il 2019 l’Italia nel complesso ha perso oltre un milione di giovani (da poco più di 11 milioni a poco più di 10 milioni) e tutta questa perdita è dovuta ai giovani meridionali, diminuiti di un milione e mezzo per il calo delle nascite e per un autentico esodo.