Chiesto un processo per l’ex procuratore generale della Corte di Cassazione, Riccardo Fuzio. A puntare al rinvio a giudizio la Procura della Repubblica di Perugia, impegnata nelle indagini sul cosiddetto caso Palamara (leggi l’articolo). L’ennesimo scossone per la magistratura, finita nella bufera dopo l’inchiesta sull’ex capo dell’Anm ed ex membro del Csm e l’emergere di una serie di intercettazioni che hanno riaperto il dibattito sulla degenerazione del correntismo.
IL CASO. Gli inquirenti hanno chiesto il processo per Fuzio e per l’ex pm e attuale giudice presso il Tribunale di Latina, Stefano Rocco Fava, oltre che per lo stesso Luca Palamara. A decidere sarà il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Perugia il prossimo 13 maggio. Per il procuratore Raffaele Cantone e i sostituti Gemma Miliani e Mario Formisano, l’ex procuratore generale Fuzio, già membro del Csm, e Palamara sarebbero responsabili di concorso in rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio.
Più nello specifico, Fuzio, “su istigazione” di Palamara, avrebbe rivelato all’allora sostituto procuratore di Roma l’arrivo al Comitato di presidenza del Consiglio superiore della magistratura di un esposto presentato dal magistrato Stefano Fava riguardante comportamenti “asseritamente scorretti” dell’ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone. Fuzio inoltre, sempre per gli inquirenti, avrebbe reso noto a Palamara le iniziative che il Comitato di presidenza del Csm intendeva intraprendere per verificare la fondatezza dei fatti descritti nell’esposto.
Secondo la procura di Perugia, in tale reato, nell’aprile 2019, concorreva Palamara, “conoscendo le intenzioni di Fava” e chiedendo all’ex procuratore generale della Corte di Cassazione di verificare che l’esposto fosse stato effettivamente presentato. Il giudizio inoltre è stato chiesto per lo stesso Fava, accusato di essersi introdotto abusivamente, nel maggio del 2019, in un applicativo del Ministero della Giustizia per la digitalizzazione degli atti e di aver acquisito così i verbali d’udienza e la sentenza del procedimento 62278/2012 “per ragioni estranee” a quelle per le quali aveva facoltà.
L’obiettivo dell’allora pm, per la Procura di Perugia, sarebbe infatti stato quello di avviare una campagna mediatica ai danni dell’allora procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, che da poco aveva lasciato la guida di piazzale Clodio, e del procuratore aggiunto Paolo Ielo, anche con “l’ausilio” di Palamara. Fava e Palamara sono poi accusati di avere rivelato ad alcuni giornalisti notizie “d’ufficio che sarebbero dovute rimanere segrete”, tra le quali quella che l’avvocato Piero Amara era indagato per bancarotta e frode fiscale e che nei suoi confronti Fava aveva predisposto una misura cautelare per la quale però “non era stato apposto il visto”.
Fava inoltre è accusato di abuso d’ufficio, con l’ipotesi che come sostituto procuratore a Roma avrebbe acquisito atti di alcuni procedimenti penali per far avviare un procedimento disciplinare nei confronti dell’allora procuratore Pignatone e operato una raccolta di informazioni volte a screditare Ielo, anche attraverso l’apertura di un fascicolo a Perugia. Fava infine è accusato di aver svolto accertamenti investigativi “raccogliendo atti di procedimenti penali a lui non assegnati, per dimostrare l’incompatibilità dei due magistrati e la violazione dell’obbligo di astensione ma anche di avere presentato un esposto al Csm in cui riportava una versione volutamente incompleta degli atti adottati dal procuratore”.