di Angelo Perfetti
Un’ora segnata dal destino, l’ora delle decisioni irrevocabili. Per i nostalgici il ricordo vola a quel 10 giugno del 1940 quando Benito Mussoli, affacciato al balcone di Palazzo Venezia, annunciò l’entrata in guerra dell’Italia. E invece, per paradosso, il rimando lessicale dei nostri giorni viene proprio dal partito che rappresenta – per nella sua mutevole evoluzione – l’antifascismo: il Pd. L’”ora delle decisioni” viene evocata in ogni dichiarazione, in qualsiasi intervento. Gianni Pittella, ad esempio, candidato alla segreteria del pd e vicepresidente vicario del Parlamento europeo, quando parla di Renzi e del prossimo confronto nelle primarie e nel congresso Pd: “E’ ora – dice – che la smettiamo di parlare di regole e date e iniziamo a discutere e confrontarci sui contenuti, sui problemi che riguardano i cittadini”. L’attacco a Renzi è esplicito: “Matteo Renzi sarà anche il più forte candidato per la premiership, ma finora non ha detto né se si candida né come la pensa sui temi concreti”.
Castricone ela nuova identità
Per il deputato Castricone, invece, “è l’ora di dare un profilo forte e riformista al Partito democratico e una nuova identità alla sinistra italiana. Nell’ultimo ventennio (sic) tutte le forze politiche del centrosinistra si sono consegnate a una politica antiberlusconiana al punto tale da smettere di fare politica. E’ il tempo di una nuova classe dirigente che però può dirsi se stessa se ha il coraggio di cambiare se stessa e le sue politiche”. Sarà perché fa riferimento al documento elaborato da Francesco Boccia, ma è impossibile non vedere la bocciatura dell’attuale classe dirigente.
Richetti e il bivio inevitabile
Restando al documento di Boccia, il deputato Pd Matteo Richetti non parla proprio di decisioni irrevocabili ma usa il termine di “bivio”, con annessa dichiarazione forte: “Bisogna riformare il Pd per riformare l’Italia”. Per Richetti – che non legge il documento di Boccia in antitesi con i rottamatori, ma piuttosto un tentativo di tenere insieme il sostegno all’esecutivo Letta e il necessario ricambio totale della classe dirigente Pd – “l’unica persona seria che ha tratto coerenti conseguenze da quanto accaduto durante il voto per l’elezione del presidente della Repubblica, è Bersani. Gli altri che hanno accompagnato l’ex segretario, invece di fare un passo indietro, hanno fatto solo un po’ di mobilità interna”. “Da parte di chi oggi guida il partito c’è il tentativo di dipingere Renzi come quello che vuole liquidare il Pd e la sua storia – prosegue Richetti – . E’ un tentativo pericoloso e scorretto. La verità è che oggi chi può salvare il Pd è solo chi riesce a cambiarlo”.
Serracchiani e la svolta epocale
Anche la Serracchiani, evoca scenari in cui il destino sembra ver segnato l’ora: “Il centrosinistra – ha detto – è di fronte a una svolta epocale: cambiano le persone, cambiano le idee e il modo in cui si intende fare politica. Si tratta di un fatto positivo, che aiuta il dibattito. Mi auguro che alla fine ci sia una sintesi che ci renda possibile dire che idea di Paese abbiamo e non solo che idea di partito”.
Fibrillazioni sul Porcellum
Ma non c’è solo il dibattito sul prossimo congresso a dividere le diverse anime del Pd. La Legge elettorale è un altro capitolo di questa lotta intestina che, volente o nolente, alla fine fa capo a delle correnti: bersaniani, renziani, lettiani, e così via… Giachetti ha alzato il tiro contro la Finocchiaro rea – a suo dire – di aver scippato alla Camera la discussione sulla riforma elettorale, così da poter meglio trattare con il Pdl al Senato. A ruota, un gruppo di deputati – da Bonaccorsi a Ermini – chiede al segretario Epifani di convocare i gruppi parlamentari per chiarire la linea dem sul nodo della legge elettorale. Una linea ancora non omogenea che, in vista del Congresso, vede i renziani in trincea. Anche perché, con le tensioni legate all’agibilità politica di Silvio Berlusconi, il Congresso teoricamente potrebbe ancora aprire le primarie per il candidato dem alla premiership.
Zanda fa il pompiere
Zanda,capogruppo del Pd in Senato, ha provato a calmare gli animi prendendola alla larga: “Non ‘cera bisogno di nuove tensioni dentro ai partiti – ha detto – è molto importante che i gruppi di Camera e Senato lavorino in modo coordinato”. Ma la tensione resta. E così ieri il segretario del partito, Epifani, ha ritenuto di dover incontrare il premier Letta (contestato da Civati: “Usa termini dispregiuativi verso chi non è d’accordo con lui”). A quanto si è appreso, nel corso dell’incontro è stato fatto un giro d’orizz:onte sia sui provvedimenti all’esame del governo sia sulla situazione del partito. L’incontro, nel giorno del 47esimo compleanno del premier, ha confermato – sempre a quanto riferito – la forte sintonia che c’è sempre stata tra il presidente del Consiglio e Epifani, sia nelle valutazioni della situazione politica sia sul Pd. Una sottolineatura necessaria per serrare le fila, anche se piuttosto debole.
Tornando all’incipit dell’articolo, ovviamente l’accostamento al Duce è meramente lessicale e va considerato come una provocazione. Però – a ben guardare – in entrambi i casi, toni così perentori hanno fatto da preludio a una cosa: la guerra. E l’appuntamento di settembre per il Pd è ormai alle porte.