Bianca Berlinguer entra in Rai nel 1985, facendosi le ossa nella redazione di Mixer, la celebre trasmissione di Giovanni Minoli. Da qui è poi entrata stabilmente nella struttura del Tg3. Ha lasciato anche un segno indelebile il suo ruolo di inviata sul campo in molte puntate infuocate di Il rosso e il nero e Tempo reale, entrambe di Michele Santoro, dove, anche se molto giovane, grinta e determinazione non le sono mai mancate. Nell’ottobre 2009 è diventata direttore della testata giornalistica di Rai Tre restando al timone fino all’agosto 2016. Nel frattempo, tra le sue esperienze, si registrano anche le conduzioni della rubrica di approfondimento Primo piano e di Linea notte, prima dell’avvento di Maurizio Mannoni.
Dopo la lunga direzione al Tg3, approda nel mare magnum dei talk show con Cartabianca, approfondimento partito nel novembre 2016 inizialmente solo nella fascia preserale. Dal settembre 2018 il programma si è stabilizzato solo nel prime time del martedì sera. Ad ogni modo, si è trattato di una nuova avventura importante per Bianca e di un risarcimento meritato dopo la discutibile modalità con cui l’azienda la fece dimettere dall’incarico di direttore del Tg3. E non era affatto scontato che tutte e due le esperienze potessero funzionare. La striscia preserale, durata un anno e ora abbandonata, si è rivelata una sorta di innovativa startup in grado di portare la politica ma anche la cronaca, i temi sociali, i diritti civili e altre issues come la lotta alla criminalità organizzata in uno slot orario in cui il pubblico era tradizionalmente più abituato a un altro tipo di programmazione.
Oltre al fatto di aver ottenuto risultati buoni dal punto di vista dello share, la Berlinguer con questo nuovo spazio ha avuto il grande merito di introdurre appunto nel preserale una narrazione diversa della politica e della cronaca. Soprattutto in piena era leghista e sovranista, particolare interesse è stato concesso a temi come quello dell’immigrazione, degli sbarchi, della politica internazionale italiana e delle disuguaglianze. Altro discorso per la prima serata: partita con qualche incertezza, la giornalista romana ha saputo compiere un salto di qualità. Anche la definizione della sua immagine mediatica ha subito uno scossone: da austera e quasi calvinista direttrice del Tg3 ha aperto inaspettatamente al varietà e all’infotainment.
Il suo Cartabianca da una parte affrontava i temi della politica, dall’altra lasciava spazio anche a testimonianze e introspezioni tratte dal mondo del varietà. Nell’ultima fase il talk – che, va detto, va in onda in una giornata infernale dove gli avversari sono Mario Giordano e Giovanni Floris, senza contare la presenza di partite spesso di cartello della Champions League – ha nuovamente rivisto la propria formula. Diciamo che sono stati recuperati la tradizionalità e il percorso più istituzionale dell’impegno della Berlinguer, circoscrivendo l’aspetto più ludico ai siparietti con lo scrittore Mauro Corona. Dopo la traumatica fuoriuscita di quest’ultimo, però, la Berlinguer ha dovuto reimpostare tutto per l’ennesima volta.
Questa nuova “veste” ha giovato anche agli ascolti: secondo OmnicomMediaGroup, nel periodo settembre 2020-gennaio 2021 il programma raggiunge in media 1,1 milioni di telespettatori (share 5,0%). Rispetto al periodo omologo (settembre 2019-gennaio 2020) gli ascolti risultano in crescita ben del 2% in termini di audience con share stabili. Guardando al profilo del programma, è visto per il 57% da donne e per il 43% da uomini, con l’88% del pubblico che ha più di 45 anni.
A livello territoriale, Cartabianca si conferma più gettonato al Nord con picchi di share in regioni come il Friuli Venezia Giulia (10,4%), la Valle d’Aosta (7%), il Veneto (6,2%), l’Emilia Romagna (6,2%) e la Liguria (7,6%). Dal punto di vista qualitativo la Berlinguer dimostra una volta di più di saper parlare all’élite del Paese considerando che la quota dei laureati, sempre in termini di share, è molto alta (6,2%), superiore rispetto alla media del programma. E non è un dato scontato visto che concede poco all’elitarismo della gauche. E anzi non lesina spazi a quell’Italia dei non garantiti che hanno pagato più di tutti le conseguenze del Coronavirus.