Come suo solito il leader della Lega Matteo Salvini ha preferito ieri dire la sua dai canali social: “Mi sembra che sia cambiato completamente l’approccio, sta facendo più Giorgetti in 15 giorni che ha convocato le aziende farmaceutiche per produrre i vaccini in Italia, che Arcuri in 11 mesi”. Applausi, bis, standing ovation.
Dalle poche parole del senatore leghista emergerebbero due fatti a dire del Capitano inoppugnabili: innanzitutto che Giancarlo Giorgetti, oggi al ministero dello Sviluppo economico, sta facendo più e meglio dell’ex commissario per l’emergenza Domenico Arcuri; e in secondo luogo che la soluzione a cui nessuno aveva mai pensato prima è a portata di mano: convocare le aziende farmaceutiche al MiSE per trovare la soluzione al problema della pandemia da Covid-19.
PRIMA BALLA. Peccato che le cose non stiano proprio così. Innanzitutto è d’obbligo porsi la domanda: è vero che l’ex commissario Arcuri non ha combinato proprio nulla in undici mesi? Non proprio. Partiamo dalle tante agognate mascherine. È stato accusato di averle pagate troppo in qualche caso. Sta di fatto che dopo un anno di pandemia, dal non avere letteralmente nulla in magazzino l’Italia è passata a una produzione che conta 20 milioni di mascherine al giorno. Non male per chi non ha fatto proprio nulla.
Ma non divaghiamo: stiamo sul tema dei vaccini. L’Italia ha superato, com’è ormai noto, i 5 milioni di vaccinati. Certo: si può e si deve fare ancora meglio, ma di fatto il nostro Paese è al terzo posto in Europa dopo Germania e Francia per numero di vaccinati. Stesso discorso per la velocità nelle somministrazioni. Come raccontava qualche giorno fa Il Fatto Quotidiano, su 6,5 milioni di dosi ricevute l’Italia ne ha somministrate circa il 70%. Il motivo per cui non si è andati oltre? Lo spiega il dettagliato articolo: “Si tratta dell’applicazione di una raccomandazione che consiglia di tenere circa il 30% di dosi in riserva. Se si deciderà che non va più seguita si avranno più vaccini, ma non molti di più. La lentezza della vaccinazione dipende esclusivamente dai ritardi”. Non dall’ex commissario o dalla struttura che lo ha coadiuvato, dunque.
SECONDA BALLA. E passiamo ora alla proposta di Giorgetti. Il ministro già alcuni giorni fa ha dichiarato che il governo ha intenzione di contribuire alla “nascita di un polo biotecnologico nazionale” e per farlo nel decreto Sostegno saranno stanziate risorse pari a circa “400-500 milioni di euro”. L’esponente della Lega ha poi aggiunto che il compito dell’esecutivo sarà “facilitare la nascita di un polo nazionale, non solo legato ai vaccini, ma a tutto il biotecnologico”, in cui “il contributo economico finanziario dello Stato sarà determinante”, ma lo sarà anche “l’eventuale partecipazione di soggetti dell’industria farmaceutica italiani chiamati a fare loro parte e non faranno mancare loro adesione”.
“Sarà questa la soluzione a tutti i nostri problemi? Chissà. Quello che sappiamo ad oggi – si perdoni il gioco di parole – è quello che non sappiamo. Quello che non chiarisce Giorgetti è però che i tempi per produrre i vaccini sono di circa sei mesi, tempi lunghissimi per affrontare la pandemia. Non è un’operazione semplice del resto la riconversione delle aziende e ancor di più non lo è quella di dotarsi dei necessari bioreattori per la produzione dei vaccini. Tra sei mesi non si sa quale sarà la situazione e, considerando le varianti al virus, neppure cosa servirà esattamente a livello vaccinale per garantire una reale copertura. Ma c’è di più.
L’industria del farmaco non cederà alcun brevetto allo Stato, né gratuitamente né a pagamento, e l’Italia si troverà così ad aiutare i produttori a trovare nel nostro Paese dei semplici contoterzisti che lavoreranno per i colossi stranieri. Quando poi inizierà la produzione in Italia, quei vaccini verranno redistribuiti in Europa e all’Italia toccherà solo la quota stabilita, il 13,5% del totale. Poco visti gli investimenti, che tra l’altro vanno ad aggiungersi a quelli già fatti per acquistare i vaccini. Alle multinazionali del farmaco lo Stato paga insomma due volte.
Senza contare che, tramite Invitalia, lo stesso Stato ha già investito 81 milioni di euro in Reithera, l’azienda di Castel Romano, a due passi da Roma, impegnata a produrre un vaccino italiano. Non proprio un’idea geniale, considerando che in questo modo il nostro Paese si troverebbe a pagare due volte lo stesso prodotto.