Da ieri c’è una data segnata di rosso sul calendario di Matteo Salvini. Si tratta del prossimo 14 maggio giorno in cui, salvo colpi di scena, il giudice per l’udienza preliminare Nunzio Sarpietro pronuncerà il verdetto sul caso della nave Gregoretti in cui al Capitano viene contestato il sequestro di persona per i ritardi nello sbarco, nel luglio 2019, di 131 migranti salvati dall’imbarcazione della Guardia Costiera italiana. Quel giorno il gup avrà davanti a sé due opzioni: emettere un decreto di rinvio a giudizio, con la fissazione della prima udienza dell’eventuale processo, oppure dichiarare una sentenza di non luogo a procedere.
È questo l’ultimo sviluppo che emerge dalla delicata e lunga udienza di ieri, celebrata nell’aula bunker del carcere Bicocca di Catania, in cui non sono di certo mancati i colpi di scena. Il primo di questi è stato il provvedimento con il quale il gup Sarpietro ha dichiarato inammissibili le audizioni di alcuni ufficiali della Capitaneria di porto e dell’ex presidente dell’Anm ed ex consigliere del Csm Luca Palamara. L’audizione di quest’ultimo era stata chiesta dall’avvocato Corrado Giuliano in rappresentanza di una delle parti civili, l’associazione AccoglieRete.
Una richiesta di testimonianza che il penalista riteneva necessaria in quanto sarebbe stata utile per “fare chiarezza” su “uno spazio grigio, una preoccupante zona d’ombra” e “del clima nel quale si sono consumate le fasi del procedimento”. In particolare gli volevano chiedere conto dello scambio di messaggi con un collega magistrato nel quale, commentando l’inchiesta aperta dal procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio su un altro sbarco successivo, quello di Open Arms e per il quale ci sarà un’udienza il prossimo 20 marzo, si lasciava intendere che Salvini fosse vittima di un attacco politico-giudiziario. Un’istanza che tuttavia non ha convinto neppure la difesa del Capitano con l’avvocato Giulia Bongiorno che, opponendosi alla richiesta, ha spiegato: “di Palamara non si sta parlando per come si dovrebbe”, ma “in questo processo non possiamo fare un altro processo che probabilmente ci sarà, ma in un’altra sede”.
L’ULTIMO TESTIMONE. Ma l’udienza, tenuta a porte chiuse, è stata anche l’occasione in cui è stato sentito anche quello che dovrebbe essere l’ultimo testimone. Si tratta dell’ambasciatore Maurizio Massari, in qualità di rappresentante permanente dell’Italia all’Unione Europea, che ha spiegato la propria verità sul caso. Sull’immigrazione e il tentativo di coinvolgere l’Europa, la politica italiana è stata contraddistinta nel tempo da ‘’continuità e coerenza’’ avrebbe detto Massari. Una lunga deposizione che, a fine udienza, è stata commentata con soddisfazione dai legali di parte civile secondo cui l’ambasciatore avrebbe detto di “non avere mai pensato di subordinare gli sbarchi alla ridistribuzione” e che “prima dell’Accordo di Malta si valutava la situazione caso per caso” con tempi non prevedibili.
Qualcosa che, secondo le parti civili, ha portato “profughi, migranti, famiglie e bambini a soffrire bloccati per lungo tempo su una nave senza alcun motivo valido”. Ben diversa, invece, l’interpretazione della deposizione del testimone da parte dall’avvocato Bongiorno secondo cui “Massari ha ricordato la realtà. Le politiche sull’immigrazione erano le stesse prima, durante e dopo”. Per la penalista “la testimonianza è stata particolarmente efficace perché ha chiarito che c’è stata continuità politica tra il Conte I e il Conte II” come anche “tra Salvini e Lamorgese”.