E adesso si scopre che gli “incapaci” del Governo Conte non erano poi così “incompetenti” come la propaganda mainstream voleva far credere. Nei 18 mesi dell’Esecutivo giallorosso i tavoli di crisi aperti al ministero dello Sviluppo economico, guidato fino a poche settimane fa dal pentastellato Stefano Patuanelli, si sono ridotti da 150 a 102. Come risulta dalla recente contabilità dell’ex sottosegretaria M5S, Alessandra Todde (nella foto), lasciata in dote all’Esecutivo Draghi e al nuovo titolare del Mise, il leghista Giancarlo Giorgetti.
Sulla cui scrivania ha trovato ad attenderlo alcuni dei dossier più spinosi ancora aperti: dall’ex-Ilva di Taranto alla Whirlpool di Napoli, da Alitalia alla ex-Embraco di Chieri (Torino). Parte integrante di una mappa dei tavoli di crisi che, da Nord a Sud, per effetto della pandemia, è in costante evoluzione. Con relative tensioni sociali a macchia di leopardo su tutto il territorio nazionale. A cominciare dalla Lombardia, in provincia di Como, con la Henkel di Lomazzo, e nel Lecchese, con la Sicor-Teva di Bulciago, entrambe filiali italiane di multinazionali.
La prima, del colosso chimico tedesco Henkel, dove sono a rischio 81 posti (150 considerato anche l’indotto), la seconda del gruppo farmaceutico israeliano Teva Pharmaceutical, dove ballano altri 109 lavoratori. Sembra invece risolta la crisi della Rcf di San Benedetto del Tronto (Ascoli Piceno), con la recente la retromarcia del titolare della Rcf di Reggio Emilia, Arturo Vicari, che ha confermato di non voler più chiudere l’impianto marchigiano, che da fabbrica di apparati audio diventerà un polo dell’elettronica.
I sindacati sono invece al lavoro per risolvere la crisi della Corneliani di Mantova, nel settore della moda, che, come spiega il segretario generale della Femca-Cisl Lombardia, Paolo Ronchi, coinvolge 500 lavoratori. Ai colossi come la ex-Ilva si aggiunge una selva di aziende di piccole o medie dimensioni che tentano di “aggirare” il blocco dei licenziamenti attraverso la proclamazione di stati di crisi. “Il blocco non impedisce la chiusura di un’azienda o il licenziamento individuale con la conciliazione”, spiega Ronchi.
Poi c’è la questione della formazione. Solo in Lombardia mancano almeno 100mila figure specializzate. “Presto – spiega il segretario generale Fim-Cisl regionale Mirko Dolzadelli – ci sarà il problema del turnover dei babyboomer”. E non ci sono lavoratori specializzati per rimpiazzarli. Investire sulla formazione per rilanciare l’industria è l’unica via d’uscita. Nella crisi del 2008 fu il terziario a riassorbire i posti di lavoro persi dall’industria. Oggi occorre invece riconvertire i lavoratori dal terziario all’industria. Impossibile senza formarli adeguatamente.