Sempre più magmatica la situazione in casa Cinque Stelle. A complicare le cose interviene uno dei probiviri che, entro la giornata di ieri, avrebbero dovuto pronunciarsi sulla “cacciata” dei parlamentari che hanno negato la fiducia a Draghi. Raffaella Andreola chiede che la procedura di espulsione venga congelata fino all’elezione della nuova governance. E questo mentre partono le lettere ai dissidenti. Alla Camera pare che a esser raggiunti dall’avviso di sfratto dal gruppo parlamentare siano 21 deputati.
Vito Crimi ribadisce che a loro tocca la stessa sorte che ha investito i senatori ribelli: “Chi non ha votato la fiducia a questo governo si è automaticamente collocato all’opposizione, dunque all’opposizione del Movimento che ha deciso di sostenerlo”. Verso il reggente si scagliano molti ribelli. “Come fa il nulla a espellermi dal nulla?”, dichiara la deputata Emanuela Corda. “Rispetto l’opinione di Crimi, ma credo fortemente che questa scelta non spetti a lui. Il Movimento attende una nuova governance”, dichiara il collega Michele Sodano.
Ma a fronte di quanti minacciano ricorso c’è già chi si proietta in avanti, pronto a gettarsi nel campo dell’opposizione. Numeri alla mano, si profilano due gruppi alla Camera e al Senato che numericamente potrebbero scavalcare anche il partito di Giorgia Meloni. Sebbene il M5S raccolga eletti di diversa estrazione ideologica e non tutti potrebbero imboccare la stessa strada. Per un Matteo Mantero, più vicino alle battaglie della sinistra, c’è un Francesco Forciniti più sensibile al richiamo delle sirene sovraniste.
Ma l’auspicio di chi lavora al progetto, come Mattia Crucioli, è far confluire tutti nello stesso contenitore. Per formare un gruppo a Palazzo Madama (che alla camera potrebbe chiamarsi Alternativa) serve un minimo di dieci senatori e un simbolo che si sia presentato alle ultime elezioni. Quello di Italia dei valori consentirebbe l’operazione, dice Elio Lannutti (ex parlamentare Idv prima di approdare nel M5S). E la conferma che è in corso una trattativa con l’ex partito di Antonio Di Pietro arriva anche dal segretario Ignazio Messina.
Manovre che fanno ora paura ai vertici M5S. Non è un caso che un volto storico come Paola Taverna, convertita con gran fatica al credo draghiano, lanci un appello all’unità: “Ricordo che tanti colleghi che hanno votato in dissenso sono parte fondamentale del Movimento, oltre che amici fraterni e compagni di tante battaglie”. E l’ex ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, scriva che è impensabile immaginare il futuro del Movimento “senza i tanti amici e compagni con cui abbiamo combattuto – e spesso vinto – le nostre battaglie”.
Di sicuro i ribelli guardano al ribelle per eccellenza: Alessandro Di Battista, live su Instagram oggi. E che ieri è tornato a farsi sentire. Prima con un post in cui ha ricordato la strage di Genova e l’attesa per la revoca delle concessioni per far notare che Draghi non ne abbia fatto cenno. Poi per smentire quelli che definisce “infantili avvelenatori di pozzi”. “Non mi occupo di correnti, scissioni, nuove forze politiche”, dice a commento di un lancio di agenzia in cui “fonti M5S” sostenevano che “Di Battista farà come Renzi con Italia viva” (quando ha fatto la scissione dal Pd) e confermavano contatti con Idv.
Ma non c’è dubbio che l’ex parlamentare sia un punto di riferimento per gli espulsi e c’è chi spera che scenda in campo per prendersi il Movimento. Se Morra e Lezzi potrebbero non poter candidarsi al comitato direttivo, Dibba ne avrebbe tutte le facoltà. Luigi Di Maio non ha ancora sciolto la riserva e Alfonso Bonafede, interrogato, glissa. E c’è ancora chi spera in Conte. Che possa decidere di scendere in campo per risollevare le sorti di un Movimento spaccato. Ma l’avvocato consacrerebbe la svolta moderata e governista che Grillo ha impresso. Ben altra cosa dallo spirito battagliero delle origini a cui si rifà Di Battista e a cui guardano gli epurati.