di Massimiliano Lenzi
“Ricordare i vostri ricordi, cari amici e compagni dell’Anpi…”. Compagni, un termine antico e novecentesco della sinistra italiana, socialista e comunista. Oggi, nell’estate 2013, un termine renziano. Si perché Matteo Renzi, il sindaco di Firenze, nel suo cammino per la conquista della segreteria del Partito democratico ha intrapreso una rivoluzione, anche linguistica, che guarda a sinistra. Domenica mattina, a Palazzo Vecchio, per ricordare il 69mo anniversario della Liberazione di Firenze, Matteo davanti ai partigiani dell’Anpi ha usato parole chiare: “Terremo viva la memoria respingendo ogni tentativo di revisionismo. La Resistenza è stata un fatto storico e pur rispettando umanamente tutti i morti non possiamo dimenticare che c’è chi è morto dalla parte giusta e chi da quella sbagliata. Appoggio la proposta di legge firmata dai parlamentari Boschi e Bonifazi per far riconoscere i luoghi della Resistenza come patrimonio culturale”. E ancora: “I partigiani ebbero la forza di mettersi in gioco, quella generazione ha rottamato la parola ‘purtroppo’ mentre ora sembra che non si possa fare niente, a noi viene detto che non c’è niente da fare ma non è così”.
Cambio di linguaggio
Matteo Renzi, non c’è dubbio, sta mutando il proprio linguaggio. Da giovane politico post-ideologico, in grado di catturare mediaticamente allo stesso tempo il pubblico di Maria De Filippi (con giacchettino di pelle alla Fonzie) su Canale 5 e le platee di Ballaro’, su Rai 3, il sindaco rottamatore per quest’estate calda della politica ha scelto di virare a sinistra, con interventi alle feste emiliane del Pd e citazioni della Resistenza. Perché questo scarto comunicativo? Il fatto è che Renzi pare aver capito che per conquistare il Partito democratico deve parlare anzitutto agli elettori di quel partito. Ed a chi obbietta che potrebbe fare il candidato premier senza diventare segretario del Partito democratico, la replica è istantanea: Romano Prodi che per ben due volte è stato leader della coalizione di centrosinistra, nel 1996 e nel 2006, che per due volte ha vinto le elezioni contro Silvio Berlusconi, beh lo stesso Prodi per due volte è stato disarcionato dai suoi alleati. E Prodi, – questo il timore dei renziani – in entrambi i casi, ‘96 e 2006 era premier ma non aveva un partito sotto di se’. Questa analisi politica sembra avere convinto Renzi che premiership del Paese e leadership del Pd, per durare, debbano andare in coppia. La svolta a sinistra, certo, gli ha portato critiche soprattutto dal Popolo della libertà ma i suoi non sembrano preoccuparsene più di tanto. Dario Nardella, già vicesindaco di Firenze ed oggi deputato Pd, va giù secco: “Capisco – spiega – che Matteo Renzi sia diventato l’ossessione per tutto il Pdl i cui esponenti non perdono giorno per attaccarlo: è infatti l’unica personalità del centrosinistra in grado di battere qualunque loro candidato.
Gli attacchi del Pdl
Gli attacchi di Brunetta & co. però non fanno altro che rafforzare il consenso di Renzi e irritare gli elettori moderati. Nel Pdl però hanno scelto la strada della discendenza dinastica, come nella Corea del Nord. Da noi esiste ancora il confronto”. Nardella poi ne ha anche per gli scettici nel suo partito: “Quello che però non è tollerabile – aggiunge – è il fuoco amico di alcuni esponenti del Pd che temono di perdere il controllo del partito. Renzi è la figura che meglio di tutti può incarnare il cambiamento a sinistra e che gode di un consenso indiscusso nel paese a partire dai giovani. Per questo è temuto dall’establishment che, con imperdonabile egoismo, preferisce perdere ma restare in sella al partito. Per fortuna questo schema è stato ormai compreso dai nostri elettori che questa volta sceglieranno il cambiamento senza esitare. Ogni goffo tentativo di mescolare le carte e prendere tempo nella sfida congressuale avrà come unico effetto quello di rafforzare una eventuale candidatura di Matteo. La nuova generazione di donne e uomini della sinistra è già con noi, così come gli esponenti politici di esperienza sinceramente democratici e aperti ad un vero riformismo”.
Basta con le regole
Un altro parlamentare renziano, Ernesto Carbone, bacchetta invece l’eterno siparietto sulle regole dentro al Pd. “Ma la situazione – sottolinea – è più semplice di quanto si voglia far credere. Le regole ci sono? Si. Rispettiamole. Perché bisogna cambiarle?Qualcuno mi spieghi le motivazioni. Ma me le spieghi perché magari posso essere anche d’accordo, ma ad oggi le uniche motivazioni che mi vengono in mente sono motivazioni per far fuori Matteo Renzi. Per impedirgli liberamente di correre. E poi pensiamo alla scadenza…. è il 7 novembre e basta. Perché discuterne ancora? A volte ho la sensazione che qualcuno nel mio partito abbia sostituito l’antiberlusconismo con l’antirenzismo. Le sembra logico? Abbiamo la fortuna di avere Renzi, alcuni di noi (per fortuna sempre meno) passano il tempo a provare a tagliarli le gambe. Ma non ci riescono”. Perché il compagno Renzi ha la pelle dura. Anzi, Resistente.