La folgorazione di Matteo Salvini sulla via di Città della Pieve, con tanto di svolta moderata ed europeista anche sullla questione dell’immigrazione, non ha spiazzato solo la sua base – quella del pratone di Pontida, per intenderci, abituata ad anni di slogan come “prima gli italiani” e “clandestini fuori dai confini” nonché alla narrazione di un’Europa ostaggio di tecnocrati e burocrati – ma ha creato non pochi malumori anche nella ex maggioranza giallorossa. Pd, M5s e Leu in questi giorni hanno dovuto fare i conti con forti spinte di dissenso al loro interno all’idea di un possibile ingresso nel perimetro della nuova maggioranza della Lega e della eventuale presenza nella compagine governativa dei suoi esponenti.
Il Carroccio ha ormai oltrepassato il Rubicone e gettato “il cuore oltre l’ostacolo”, e come dice il suo leader, non mette “veti in casa d’altri”. Va bene pure governare con la Boldrini, Leu, e gli ex alleati pentastellati, insomma, basta che sia un governo “con una forte connotazione politica”. Magari con Salvini ministro: una candidatura avanzata con forza dal capogruppo alla Camera, Riccardo Molinari. “Se il governo sarà politico, la logica vuole che Salvini debba essere ministro”, ha spiegato ieri a Radio Capital, in una giornata già non semplicissima per i giallorossi, scandita sul fronte 5 stelle da una parte dalle intemerate di Di Battista (“Il Movimento Cinque Stelle sbaglia assolutamente e totalmente a sostenere il nuovo governo Draghi, è un errore grave infilarsi in una roba del genere) e dall’altra da Luigi Di Maio che prova a frenare, rivendicando la rilevanza del Movimento negli ultimi governi e avvertendo che “nessuno riuscirà a dividerci”.
Giuseppe Conte prova a mediare: ritiene “comprensibili” le perplessità dei 5stelle ma sottolinea che questo “è il momento di concentrarsi sul bene del Paese”, aggiungendo che per il Movimento “la compattezza è un valore in sè”. Nella sua veste di pacificatore ottiene anche il plauso della senatrice leghista (e avvocato di Salvini) Giulia Bongiorno (“Il presidente Conte può dare un grosso contributo a questo governo. Non è un problema di chi va ma di come si va”) ma i pentastellati non abboccano alle sirene e alla fine convengono che a decidere su un eventuale supporto ad un governo presieduto da Mario Draghi, saranno gli iscritti alla piattaforma Rousseau, chiamati ad esprimersi dalle ore 13 di domani fino alla stessa ora di giovedì. Acque agitate, per usare un eufemismo, anche dalle parti del Nazareno.
Se da una parte Base Riformista, l’area dem guidata da Lorenzo Guerini e Luca Lotti, sottolinea la necessità che l’esecutivo Draghi “Abbia il pieno e convinto sostegno di tutto il Partito Democratico a partire dalla definizione del suo profilo programmatico”, la presenza della Lega è indigesta a molti. Il segretario Nicola Zingaretti, ospite domenica a Mezz’ora in più su Rai Tre, ha sì rivendicato che Salvini “ha dato ragione al Pd riconoscendo che l’idea di risolvere i problemi distruggendo l’Europa era fallimentare” ma ha anche sottolineato che toccherà al premier incaricato valutare “il grado di coerenza di chi si propone di appoggiare in parlamento il suo progetto per il Paese”. Tradotto: il Capitano è un incoerente e la sua è una giravolta di convenienza. Non sono ottime premesse.