di Nicoletta Appignani
Altro che giustizia lumaca, quella vaticana decisamente surclassa i tribunali italiani. E con un giudizio a tempo di record, punisce un parroco sospettato di pedofilia: il sacerdote è già allontanato dalla diocesi dopo una denuncia di abuso sessuale.
La storia
A svelare la storia è il quotidiano on line Livesicilia. Si scopre così che il Vaticano ha condannato in primo grado don Carlo Chiarenza, monsignore ed ex rettore della Basilica di San Sebastiano, ad Acireale, in provincia di Catania. L’ecclesiastico è stato infatti ritenuto responsabile degli abusi denunciati da un ricercatore medico 38enne, da anni residente negli Stati Uniti. Gli episodi risalirebbero a 24 anni fa ma soltanto nel 2011 l’uomo ha trovato il coraggio di tornare nella sua città natale per affrontare il presunto violentatore, quel parroco che con lui inizialmente “si comportava come un secondo padre”.
Teodoro Pulvirenti – è questo il nome della vittima – è dunque uscito allo scoperto e ha deciso di presentarsi di fronte al proprio carnefice, registrando la conversazione. E in questa registrazione, tuttora al vaglio degli inquirenti, Chiarenza avrebbe ammesso di aver compiuto gli abusi. “Mi sentivo sporco”, gli dice Pulvireti. “Io inseguivo il tuo desiderio di essere voluto bene – risponde il prete – e lo facevo non ponendomi limiti. Mi sembrava addirittura di farti del bene, come se tu avessi bisogno di liberarti. È stato un modo di dirti che ti volevo bene”.
Le autorità ecclesiastiche, subito dopo la pubblicazione delle inchieste del mensile “S”, che ripercorrevano le denunce dell’associazione antipedofilia Caramella Buona, hanno chiesto a Monsignor Carlo Chiarenza di lasciare l’incarico ad Acireale, trasferendolo in un centro di raccolta spirituale lontano dalla Sicilia.
L’iter del Vaticano
Ma mercoledì per il parroco è arrivata direttamente la condanna in primo grado. La notizia è stata divulgata dallo stesso arcivescovo di Acireale, Antonio Raspanti, già noto per aver negato le esequie a personaggi in odore di mafia. “Secondo le norme vigenti – scrive Antonino Raspanti – l’iter è proseguito a un livello superiore, guidato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, pervenendo a un primo grado di giudizio. In questo grado, non definitivo, il sacerdote è stato ritenuto responsabile degli abusi denunciati”. Ora il parroco “dovrà sottoporsi ad alcune restrizioni, in osservanza delle quali dovrà dimorare per alcuni anni fuori dalla Diocesi non assumendo incarichi ecclesiali e non svolgendo il ministero in pubblico”. Il monsignore potrà fare ricorso entro sessanta giorni.
L’inchiesta
Quanto all’inchiesta della magistratura italiana, va detto che Chiarenza è stato denunciato solo nel febbraio 2012 e il reato per il quale viene accusato è ormai caduto in prescrizione. Ma l’uomo che ha alzato il velo sulla vicenda, Teodoro Pulvirenti, sostiene di essere a conoscenza di almeno una decina di altri casi di abusi perpetrati dallo stesso sacerdote su diversi giovani. E a queste persone ha deciso di rivolgersi: “Non abbiate paura, denunciate come ho fatto io”, il suo appello. La vicenda è seguita attentamente dalla Procura di Catania, guidata da Giovanni Salvi, e le indagini sono state affidate agli investigatori della Polizia Postale, coordinati dal pm Marisa Scavo. Sull’inchiesta si mantiene ancora il massimo riserbo, ma alcune persone del luogo avrebbero riferito di successive testimonianze a conforto delle accuse di Pulvirenti. Don Chiarenza, difeso dall’avvocato Antonio Fiumefreddo, finora si è difeso affermando che “la registrazione effettuata da Teodoro Pulvirenti è stata diffusa in modo incompleto e secondo modalità che si sono così da prestate al fraintendimento e alla strumentalizzazione”. Non solo. Anche tra i fedeli c’è chi lo difende. Su facebook la pagina “A sostegno di Don Carlo Chiarenza” conta 116 iscritti. Ed è di giovedì l’ultimo post pubblicato: “Non vi preoccupate, la verità prima o poi uscirà fuori. Quella vera verità, non la loro verità”.