di Raffaella Salato
Sono gli “esodati” dell’Arma e dalla loro nascita fino ad oggi se ne contano ben 200 mila. Parliamo dei Carabinieri Ausiliari, corpo istituito nel 1917, che ha visto decretato il proprio tramonto nel 2005, in seguito alla sospensione del servizio di leva obbligatorio (legge 226/2004). Gli Ausiliari venivano reclutati a titolo “volontario” per la ferma di leva di 18 mesi tra i giovani appartenenti alla classe chiamata alle armi. In altre parole, venivano arruolati – su loro richiesta – nell’Arma dei Carabinieri invece che nell’Esercito, e potevano rimanere in ferma prolungata fino a 3 anni di servizio. Anche in virtù dell’addestramento di alto livello e della formazione teorica e pratica cui venivano sottoposti, nel tempo – a differenza dei loro “colleghi” soldati – hanno prestato servizio nelle più svariate funzioni destinate al mantenimento dell’ordine pubblico: come agenti di polizia giudiziaria, agenti di pubblica sicurezza, nei ranghi della polizia militare ed anche (specie nei piccoli centri) della polizia tributaria. I problemi sono sorti però nel 1999, con l’introduzione della figura del “volontario delle Forze Armate”, che ha avuto come effetto, nel quinquennio successivo, l’abolizione del servizio militare obbligatorio. Di conseguenza, sono terminati anche i corsi dei Carabinieri Ausiliari. E qui nasce il paradosso, uno dei tanti – misteriosi – che affliggono il nostro Paese. Un militare che si sia congedato senza demerito, dopo aver prestato servizio volontario presso l’Arma dei Carabinieri non può partecipare ai concorsi banditi da quest’ultima, perché proprio la legge del 2004 riserva ai volontari di Esercito, Marina ed Aeronautica la possibilità di essere reclutati in servizio permanente effettivo. Un trattamento discriminatorio, dovuto ad una palese incuria del legislatore, che colpisce paradossalmente proprio chi ha già svolto servizio fra i Carabinieri. Gli anni maturati nell’Arma non valgono, dunque, ai fini del punteggio per il concorso pubblico, benché agli Ausiliari sia teoricamente riservato il 30% dei posti disponibili (di cui, tuttavia, non possono usufruire in alcun modo). Al danno si aggiunge poi anche la beffa, se si considera la contraddizione che investe gli aspetti pensionistici della categoria.
Nessuna pensione
In quanto “dipendenti dell’amministrazione pubblica”, i Carabinieri Ausiliari in congedo che si sono visti versare i contributi all’Inpdap durante gli anni di servizio, una volta raggiunti i limiti di età hanno fatto domanda di accredito degli stessi ai fini pensionistici. Scoprendo però che l’Inps non poteva recepirli: il loro servizio, configurato come “volontario”, avrebbe richiesto che fossero loro stessi a costituire una posizione assicurativa, laddove gli interessati davano invece per scontato che il passaggio avvenisse in modo automatico. In pratica i contributi versati e non ancora riscattati da migliaia di Carabinieri Ausiliari in congedo sono tuttora “congelati” in un limbo. Volontari per tutti, insomma, tranne che per lo Stato cui hanno prestato, “nei secoli fedeli”, la loro opera: questa è la condizione surreale del Corpo Ausiliario dei Carabinieri, come ci racconta con giusto disappunto Donazio Simone, portavoce nazionale della categoria. Numerose interrogazioni parlamentari si sono susseguite sul tema, nel tentativo da parte della politica di sanare questo problema. Tentativi finora risultati vani, anche per certe obiezioni sul requisito dell’età anagrafica (un Ausiliario in congedo ha, in media, 34 anni), ritenuta troppo elevata, avanzate dai Ministri della Difesa La Russa prima e Di Paola poi . Se consideriamo la sempre crescente domanda di sicurezza della nostra Nazione di fronte al dilagare della criminalità, ed il fatto che attualmente l’Arma dei Carabinieri consta di circa 7.200 unità in meno di quante sarebbero necessarie, il mancato reintegro di personale esperto, già formato e pronto al servizio – che, peraltro, comporterebbe un sostanziale risparmio da parte dei contribuenti – appare uno di quegli inspiegabili nonsense all’italiana cui sfortunatamente siamo fin troppo abituati.