Visto che ieri Conte e Renzi si sono sentiti e non è servito a niente, anzi il capo di Italia Viva ha messo una sorta di pregiudiziale su un incarico del Capo dello Stato al premier dimissionario, la crisi si avvia verso lo scenario peggiore per il Paese: le elezioni. Su un tale epilogo, ovviamente, ci sono ancora diverse vie d’uscita, ma è chiaro a tutti che un Governo istituzionale incaricato degli affari correnti in questa fase potrebbe solo condurci velocemente alle urne, mentre l’unico Esecutivo dichiarato possibile da Renzi certificherebbe la dittatura dello statista di Rignano su M5S, Pd e Leu.
Ora è vero che non c’è un solo parlamentare ansioso di perdere il seggio, ma accettare un ricatto del genere significherebbe gettare alle ortiche ogni credibilità personale e politica. Dunque non c’è più in ballo solo la persona di Conte e la dignità del suo Governo, ma l’anima di tre forze politiche che Renzi vuole distruggere per desiderio di vendetta. Il suo unico punto di forza è di poter fare l’ago della bilancia tra due forni, che oggi non sono quelli tradizionali della destra e della sinistra, ma quelli di una identica maggioranza con Conte o senza Conte.
Una preclusione i cui motivi veri non sappiamo ancora, anche se ieri pure Alessandro Di Battista ha rilanciato l’ipotesi più credibile del movente: la gestione dei miliardi del Recovery Plan. Dunque adesso il pallino è tutto in mano a Cinque Stelle e Pd (comprese le quinte colonne di Renzi rimaste nell’ombra). Se accetteranno un Presidente del Consiglio diverso dall’attuale – che ha lavorato con dedizione e onore – avranno dimostrato una loro irrecuperabile subalternità politica.
Se invece non molleranno, si andrà a elezioni dove avranno molti argomenti da spendere. Sempre che non arrivi prima la sorpresa dei renziani che mollano il loro pifferaio, perché chi ha da perdere di più dalle elezioni sono proprio loro, a cui nessuno darà milioni di euro per fare conferenze in mezzo mondo e dovranno sudare per trovarsi un lavoro.