Tsunami Gratteri sul Governo. Nel mirino dei pm di Catanzaro che indagano su Cesa ci sono gli appalti ai clan in cambio di voti

Tsunami Gratteri sul Governo. Nel mirino dei pm di Catanzaro che indagano su Cesa ci sono gli appalti ai clan in cambio di voti

Sulla crisi di governo e la ricerca di costruttori che possano allargare la maggioranza, rischia di avere un peso importante la maxi operazione della Procura di Catanzaro con cui è venuto alla luce l’ennesimo scandalo sui rapporti opachi tra politica e mafia che sta travolgendo l’Udc e, soprattutto, Lorenzo Cesa. Proprio mentre si infittiscono i contatti tra le forze di governo e i cosiddetti costruttori, sulla trattativa si è abbattuta la grana giudiziaria, dagli effetti politici imprevedibili, per la quale sono finite in manette 48 persone tra cui il segretario regionale dell’Udc e assessore al Bilancio Francesco Talarico, finito ai domiciliari, e quello nazionale, Cesa, attualmente solo indagato, accusato di aver agevolato l’imprenditore Antonio Gallo, ritenuto senza mezzi termini – dai pm – “il braccio economico di tutti i clan del crotonese”.

IL PASSO INDIETRO. Dopo aver ricevuto l’avviso di garanzia, Cesa ha spiegato la situazione e annunciato il proprio passo indietro dal vertice del partito. Con un comunicato ha raccontato di aver “ricevuto un avviso di garanzia su fatti risalenti al 2017. Mi ritengo totalmente estraneo e chiederò, attraverso i miei legali, di essere ascoltato quanto prima dalla Procura competente. Come sempre ho piena e totale fiducia nell’operato della magistratura” e che “data la particolare fase in cui vive il nostro Paese rassegno le mie dimissioni da segretario nazionale con effetto immediato”.

Proprio il suo partito, infatti, in questi giorni è stato più volte tirato in ballo nella ricerca di responsabili con cui puntellare il governo di Giuseppe Conte ma l’allora segretario Cesa ha sempre spinto per tenere il partito nel centrodestra. Una situazione che sembrava cristallizzata e che ora, con una nuova linea nel partito, potrebbe riaprirsi completamente oppure chiudersi in modo definitivo anche per via dei dubbi del Movimento 5 Stelle che sembra deciso a tagliare i ponti con l’Udc a causa delle gravi accuse che ne hanno terremotato i vertici.

IL MAXI BLITZ. Quel che è certo è che l’inchiesta portata avanti dal procuratore Nicola Gratteri (nella foto) è di quelle che scottano e che mostrano, per l’ennesima volta, i loschi affari tra politica e mafia. Come in un film già visto, la vicenda riguarda appalti succulenti forniti in cambio di pacchetti di voti alle elezioni. Al centro dell’indagine c’è l’imprenditore Gallo, conosciuto col soprannome il “principino”. Un “jolly”, come scrive la Dda, “in grado di rapportarsi con i membri apicali di ciascun gruppo mafioso non in senso occasionale e intermittente ma organico e continuo”.

Rapporti che, secondo i magistrati, l’uomo teneva anche con uomini delle forze dell’ordine come l’ex maresciallo della Guardia di Finanza, Ercolino D’Alessandro, finito in carcere per i rapporti con i clan e per aver fornito informazioni riservate in cambio del coinvolgimento del figlio, anche lui arrestato, nella società aperta dal “principino” in Albania. Come spiegato dal procuratore Gratteri: “Gallo è un imprenditore molto eclettico, che lavorava su più piani e riusciva a muoversi con grande disinvoltura quando aveva di fronte lo ‘ndranghetista doc, o il politico o l’imprenditore. Si muoveva su più piani, perché aveva bisogno di più piani, per creare una sorta di monopolio o almeno oligopolio su un territorio per avere la possibilità di vincere gare truccate per la fornitura di prodotti per la sicurezza sui luoghi di lavoro o attività di pulizia, anche a livello nazionale”.

Contatti compiacenti tra cui, secondo la tesi dei pm, figurava l’assessore comunale Talarico, finito ai domiciliari con l’accusa di associazione per delinquere aggravata dal metodo mafioso e voto di scambio. Proprio “questa voglia di ingrandirsi” allargando i propri affari, spiega il procuratore Gratteri, porta Gallo “a rivolgersi ai De Stefano-Tegano per organizzare la campagna elettorale di Talarico” e a trovare sponde a Roma “per cercare di ottenere appalti di livello nazionale” tanto che, attraverso Talarico, “organizza un incontro con Cesa” che non è stato registrato dagli investigatori in quanto all’epoca dei fatti l’uomo sedeva in parlamento. Il contenuto dell’incontro, spiega Gratteri, è stato ricostruito solo successivamente grazie ad un’intercettazione ambientale “da cui abbiamo capito che Gallo avrebbe dovuto pagare il 5% di provvigione” sugli appalti.