Uno rinuncia a redditi professionali per un milione e si taglia lo stipendio da premier mentre l’altro in pochi mesi ripaga il prestito con cui si è fatto la villa. Come Giuseppe Conte e Matteo Renzi interpretino in modo differente il servizio alla politica si può misurare anche da qui, ma è sull’idea di bene comune che la distanza tra i due assume dimensioni siderali.
Che piaccia o no, il primo sta combattendo una battaglia durissima contro la pandemia, si è procurato fondi europei per duecento miliardi e oggi presenta il piano con cui spendere questi soldi e far ripartire l’economia. Il secondo invece non si fa scrupolo di lasciare il Paese senza un governo nel momento più acuto della pandemia, salvo probabilmente dirci tra breve che tutto è perdonato perché il Recovery Plan grazie ai geniali consigli di Italia Viva ora sì che funziona, e seppure in ogni trasmissione tv ha detto di non volere poltrone, ne incasserà di nuove.
Le voci che girano in queste ore sono le più varie: in quello che il Centrodestra chiamerà efficacemente Conte ter si parla della Boschi al posto di una ministra straordinaria sui temi del Lavoro, come la Catalfo. In bilico sarebbero pure Azzolina e Lamorgese, mentre nel Pd i giochi sono apertissimi per imbarcare Orlando e forse anche lo stratega della vecchia guardia, Bettini, a spese a quanto pare della sola De Micheli.
Partite di Palazzo, insomma, che non solo non interessano un’acca ai cittadini, ma rallentano proprio adesso i ministeri coinvolti nell’avvicendamento. Una girandola che serve al potere, ma di cui l’Italia non ha affatto bisogno.