E’ sui fatti che il premier vuole rilanciare l’azione del suo governo e sfidare quanti hanno fino a ieri provato a punzecchiarlo con polemiche e ultimatum. E quale fatto più concreto dei 209 miliardi in arrivo da Bruxelles che l’Italia deve decidere come spendere? L’Europa ci guarda, in gioco c’è la credibilità del Paese. Non si può fallire. D’accordo discutere, ma nel merito e a ritmo serrato per arrivare a una sintesi efficace. L’ultima parola, poi, sarà del Parlamento. E se gli alleati – dal Pd a Iv – gli hanno chiesto di cambiare passo, di darsi una mossa, Conte non si sottrae all’invito e spinge il piede sull’acceleratore.
Entro la fine dell’anno, tra il 26 e il 31 dicembre – è il suo auspicio – deve arrivare il piano in Cdm. Ieri è partito il primo giro di consultazioni con i partiti: prima M5S e Pd, oggi toccherà a Iv e Leu. Con il capo del governo a Palazzo Chigi sono presenti il titolare del Mef, Roberto Gualtieri e il ministro per gli Affari Ue, Enzo Amendola. “Il Piano nazionale – spiega il premier – deve riflettere e riflette le indicazioni del Parlamento sulle linee guida. Non vedo l’ora di mandare il documento di aggiornamento per poi ricevere ulteriori indirizzi e predisporci al piano finale”.
Sei missioni, 18 componenti, il 60 per cento delle risorse sarà dedicato alla transizione verde e digitale, il 40 per cento a scuola, istruzione e ricerca, parità di genere, coesione territoriale e salute. C’è anche la riforma della giustizia. La task force, dice, sarà oggetto di “una riflessione ampia e condivisa”. Ce la chiede l’Unione europea. Ma guai a pensare che possa essere una struttura centralizzata invasiva o che possa intralciare le prerogative, i poteri, le facoltà ma anche responsabilità che competono alle amministrazioni centrali, territoriali, periferiche.
Sulle polemiche riguardanti i fondi destinati alla sanità, Conte avverte: il settore riceve delle risorse direttamente, ma anche altre da progetti trasversali. Su proposta del M5S, poi, prende piede la creazione di un gruppo di lavoro ad hoc di maggioranza. “Come M5S abbiamo apprezzato molto l’interlocuzione iniziata dal premier. Abbiamo puntato anche su singoli argomenti, come la scuola e il superbonus, la cui proroga fino al 2023 per noi è irrinunciabile”, dice il capodelegazione Alfonso Bonafede. Accelerare, darsi una mossa è imperativo categorico del Pd.
Come il M5S anche i dem dichiarano di aver “apprezzato lo sblocco della discussione sul Recovery che ora deve andare deciso verso l’adozione della bozza in Cdm per consentire la discussione in Parlamento e l’apertura di un dibattito nel Paese, con le parti sociali, le imprese, l’associazionismo, i giovani, le donne, le associazioni ambientaliste”. Sulla governance del Recovery il Pd invita a “impostarla nella forma della sussidiarietà ma non della sostituzione alle prerogative dell’amministrazione centrale e periferica dello Stato”. Il partito esprime preoccupazione per le mancate riforme sul lavoro e si riserva di inviare in un paio di giorni una proposta sulla bozza del piano che gli è stata consegnata.