Dopo oltre dieci anni, si chiude un’altra pagina giudiziaria sulle cene a Palazzo Grazioli e Arcore con protagonista l’imprenditore Gianpaolo Tarantini che ha reclutato escort di lusso alla corte di Silvio Berlusconi. Soltanto venerdì sono state depositate le motivazioni della sentenza, del settembre scorso, con cui la Corte di Appello di Bari ha condannato a 2 anni e 10 mesi di reclusione il fidato amico del Cavaliere e a 1 anno e 5 mesi di carcere “ l’ape regina” dei party berlusconiani, Sabina Beganovic.
Proprio dalla lettura del lungo atto si scopre che, secondo i magistrati, “il progetto di Tarantini è stato quello di sfruttare il supporto determinante di Silvio Berlusconi per realizzare la propria ascesa economica dapprima mediante l’elezione a membro del Parlamento europeo e poi, tramontato questo orizzonte, attraverso il coinvolgimento in un giro di commesse pubbliche riferibili a Protezione civile e Finmeccanica”. Intento che l’uomo ha perseguito con grande scrupolo fino a diventare “esclusivo referente dell’ex premier nella selezione di giovani donne da fare entrare nel suo cerchio magico”, “persuadendole a recarsi alle cene con la prospettiva di essere scelte dal presidente del Consiglio per concedergli favori sessuali dietro pagamento di laute somme di denaro”.
GLI INCONTRI HOT. Serate “galanti”, intrattenute tra il 2008 e 2009, nelle diverse residenze del Cav tra cui Palazzo Grazioli, Villa Certosa e Villa San Martino. Incontri che, scrivono i giudici della Corte di Appello di Bari, dietro a uno “sfondo ludico e disimpegnato” hanno visto emergere “nitidamente” l’immagine dominante e assorbente di Gianpaolo Tarantini il quale, una volta introdotto nelle stanze del premier ben profittando dell’interposizione di Sabina Beganovic, si è adoperato a soddisfare le urgenze sessuali, mosso dalla finalità di lucrare dapprima la confidenza e quindi la gratitudine e riconoscenza dell’ex premier Berlusconi per l’opera di continuativa ricerca ed ingaggio di donne disponibili all’attività di compiacimento sessuale”.
Sempre secondo i giudici, gli imputati “assecondavano il desiderio di Berlusconi di circondarsi nei momenti lucidi extra-istituzionali di donne avvenenti e disponibili”, “procurandogli la possibilità di interagire in contesti di assoluta intimità fisica con le suddette selezionate donne contando sulla consapevolezza che costoro agivano, nella maggior parte dei casi, nell’esclusiva prospettiva di conseguire munifiche elargizioni economiche o altri vantaggi o addirittura di dare una svolta alle proprie esistenze”. Comportamenti con cui, si legge nelle motivazioni, “la dignità umana viene offesa dall’attività di pur libera prostituzione in quanto la mercificazione della corporeità impedisce alla sessualità di essere sé stessa”.
Punto questo che viene ripreso quando la Corte spiega che, proprio per rendere le serate quanto più piacevoli possibile, Tarantini si sarebbe perfino interessato a “interferire sulle personali scelte di abbigliamento della destinataria dell’ingaggio, annientandone la libertà di gestione e quindi l’identità, secondo un meccanismo che riduce la persona umana a mero strumento di altrui compiacimento”. Accuse che la difesa dell’imprenditore ha sempre respinto al mittente spiegando, già in occasione della lettura del dispositivo d’appello a settembre scorso, che la questione è destinata ad arrivare in Cassazione per insistere sulle “questioni di insussistenza di danni derivanti dalle condotte contestate, fondamentale per riconoscere l’insussistenza del reato”.