Passano i mesi ma non smette di stupire l’inchiesta sulla tangentopoli lombarda che ha travolto Forza Italia. L’ultimo colpo di scena arriva dal Tribunale di Milano che ha disposto il sequestro di oltre mezzo milione di euro a carico dell’ex europarlamentare forzista Lara Comi e di altri cinque indagati. Al centro di questo provvedimento c’è l’accusa di truffa aggravata ai danni del Parlamento europeo per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Sostanzialmente, stando all’accusa della Procura di Milano diretta dal procuratore Francesco Greco, gli indagati avrebbero incassato i finanziamenti del Europarlamento dichiarando un’attività di assistenza all’ex politico di Forza Italia che in gran parte non sarebbe stata realizzata, per poi retrocedere buona parte delle somme alla stessa Comi.
Così facendo, si legge nel decreto, il gruppo avrebbe “indotto in errore il Parlamento Ue in ordine ai contratti stipulati e all’attività lavorativa prestata dall’assistente locale nominato dall’europarlamentare Laura Comi procurandosi un ingiusto profitto con correlativo danno per l’istituzione comunitaria, consistente nei contributi erogati dal Parlamento per l’attività contrattualizzata, effettivamente prestata solo in minima parte”. La cifra contestata e sottoposta a sequestro a fine di confisca, per la precisione 525mila euro, secondo i pubblici ministeri Silvia Bonardi, Adriano Scudieri e Luigi Furno coprirebbe i due mandati svolti dalla forzista a Bruxelles, dal 2009 al 2019.
LE RETROCESSIONI. La vicenda della truffa al Parlamento europeo è una costola della Mensa dei poveri, ossia quella salita alla ribalta della cronaca nel maggio 2019 e da cui è emerso un gigantesco sistema corruttivo in Lombardia. Proprio da quell’indagine, in cui la Comi è indagata per finanziamento illecito e corruzione, è nato lo spin off che sta mettendo in grave imbarazzo l’ex europarlamentare forzista, con le acquisizioni documentali e soprattutto le testimonianze che hanno convinto gli inquirenti secondo cui “Lara Comi”, si legge nell’atto, ha “in modo sistematico e assolutamente spregiudicato piegato ai fini personali il proprio ufficio pubblico commettendo una serie di illeciti allo scopo di drenare denaro dalle casse dell’Unione europea”.
In particolare sono due gli episodi contestati alla fedelissima del Cavaliere. Il primo – e più recente – riguarda una truffa di 104mila euro in cui risultano indagati sia Giovanni Enrico Saia, ossia la persona assunta secondo i pm “in modo fittizio”, che colui che ha ricevuto il denaro pubblico e che lo avrebbe girato agli assistenti parlamentari, ossia Gianfranco Bernieri. Saia, accusano i magistrati, era informato che “avrebbe percepito solo una minima parte del compenso fissato” e la circostanza è stata confermata a verbale da Bernieri secondo cui “quando la Comi mi disse di assumere Saia, a differenza delle altre assunzioni, mi chiese di non corrispondere al dipendente lo stipendio ma di effettuare il pagamento a lei stessa, che avrebbe provveduto personalmente a liquidare l’emolumento a Saia”.
Poi Bernieri entra nello specifico: “Come mi ha chiesto la Comi, ricevuto il bonifico applicavo le ritenute necessarie e calcolavo il netto. Quindi emettevo assegni a mio nome apponendo le firme di girata. Gli assegni erano tre o quattro al mese, sempre di importo inferiore ai mille euro, in modo da arrivare la cifra prevista di 3300. Venivano poi portati all’incasso in banca dal mio collaboratore che ritirava i contanti portandoli in ufficio. Quindi io apponevo i soldi in una busta che veniva messa nella cassaforte. Quando raggiungevo la cifra totale la Comi o suo padre Renato veniva presso il mio ufficio a girare la busta con il denaro. Saia da me non ha mai preso un euro”.
Il secondo episodio contestato alla Comi sarebbe del tutto analogo e riguarderebbe lo stipendio incassato da una precedente assistente che ha lavorato per la forzista dal 2010 al 2015. Accuse che non convincono il difensore dell’indagata, l’avvocato Piero Biancolella, secondo cui “già da una prima lettura dei nuovi capi d’imputazione mossi a Lara Comi, emerge l’infondatezza dell’assunto accusatorio, che contesteremo con fermezza nelle opportune sedi, confidando che, come già accaduto per altre imputazioni, verranno ritenuti privi di fondamento”.