I conti per più di qualcuno non tornano: “Ma come può Renzi minacciare il governo visto che, se si andasse al voto, Italia Viva rischierebbe di restare fuori dal Parlamento?”, ci si domanda nelle variegate chat che, a volte anche trasversalmente tra i gruppi parlamentari, popolano la maggioranza. Il dubbio è più che lecito: numeri alla mano non sarebbe così scontato per Matteo Renzi restare in Parlamento. E anche se ci riuscisse i seggi si potrebbero contare sulla punta delle dita. Ecco perché all’interno della maggioranza (ma anche dell’opposizione) nessuno crede che il fine di Italia Viva sia realmente quello di mettere a rischio la stabilità di Giuseppe Conte.
E la prova è proprio nelle consultazioni in corso da ieri e che vedranno oggi di fronte Renzi e Conte. “Com’è spesso accaduto anche in passato – spiega un senatore dem che preferisce restare anonimo -Renzi spara alto per ottenere poi in fase di mediazione quello che realmente vuole”. Su questo non c’è dubbio: l’ex presidente del Consiglio è un maestro. Ecco perché secondo molti è ben più probabile che il refrain “Italia Viva vuole essere più partecipe alle decisioni” si traduce nel concreto con “qui urge un rimpasto”.
Eccolo. Il rimpasto, vero obiettivo di questo gioco al rilancio in cui nessuno – né Movimento 5 stelle, né Pd, né tantomeno Iv – è estraneo. Alla fine, spiegano i tanti parlamentari nelle chat, è probabile che si arriverà alla fatidica mediazione: resta la task force per la gestione del Recovery Plan (anche se, a quanto pare, con un ruolo marginale e senza, soprattutto, che la struttura tecnica intralci il lavoro politico e legislativo), ma a patto che, dopo la legge di Bilancio, a gennaio si arrivi a un piccolo rimpasto di governo.
LA TRATTATIVA. Insomma, tra Movimento cinque stelle (la cui posizione resta ufficialmente radicale: Conte non si tocca, i ministri neanche, urge una task force) e Italia Viva (che la pensa quasi radicalmente in maniera opposta), a prevalere sarà la posizione mediana del Pd di Nicola Zingaretti. Non è un caso che, proprio nelle ultime ore, volano tra WhatsApp, mail, chiacchierate telefoniche e zoomate iper-segrete, scenari e retroscena su cosa potrebbe accadere qualora si arrivasse – come pare – a un rimpasto. Secondo i ben informati è molto difficile che possano essere toccari i ministeri centrali dell’azione di governo: tutte le forze che compongono la maggioranza non sono disposte a fare passi indietro.
Quel che pare è che il Pd abbia puntato il ministero dell’Istruzione. “Ma il Movimento – spiega il solito senatore – non farà mai passi indietro su Lucia Azzolina”. Per due ragioni: la scuola sul fronte Covid, al di là delle critiche spesso strumentali, ha retto (a differenza, tanto per dire, del trasporto pubblico); e proprio per questo se i Cinque stelle cedessero il Miur significherebbe implicitamente legittimare le critiche degli ultimi mesi di Salvini and company. Ed è proprio su questo punto che potrebbe crearsi il più classico dei tira e molla: “Se il Pd vuole il ministero dell’Istruzione – spiegano ancora fonti pentastellate – noi allora avremmo legittimità a chiedere il ministero dei Trasporti o della Difesa visto il caos creato sui trasporti, le concessioni dei Benetton o gli F-35”.
Per evitare di cadere in un labirinto senza via di uscita i singoli partiti stanno già ragionando sulle caselle da poter sacrificare. In casa 5S si ragiona sull’eventualità di cedere posti come quello di Paola Pisano (ministro per il Digitale, nella foto), che potrebbe proprio finire nelle mani di Italia Viva. Una rivoluzione, invece, potrebbe esserci nel sottogoverno: sottosegretari in cambio di una pax stabile all’interno della maggioranza. E resta, sullo sfondo, un’ultima ipotesti: due vicepremier dietro Conte. E in questo caso i nomi caldi sarebbero Luigi Di Maio e Dario Franceschini. Ipotesi totalmente aleatorie, per ora. Ma su cui più di qualcuno già starebbe riflettendo. Anche in sede di consultazioni tra governo e forze politiche, a quanto pare.