di Andrea Koveos
In Italia i pullman che possono circolare sono 22.281. Appena il 7,5 per cento (1.578) non passa la revisione annuale. Davvero pochi se si considera che il 60 per cento dei bus ha più di dieci anni. Un particolare che non è sfuggito all’Unione europea che vuole costringere il nostro Paese a rivedere l’intero sistema: officine convenzionate per le automobili, efficacia delle motorizzazioni per i mezzi sopra le 7 tonnellate.
Da molti anni, infatti, la domanda (inevasa) è sempre la stessa. Come sono effettivamente svolti i controlli durante le revisioni periodiche, fondamentali su mezzi con centinai di migliaia di chilometri sulle spalle? Questo tipo di operazione, per altro obbligatoria, è considerata da troppi conducenti come una formalità da espletare nel minor tempo possibile. E quando c’è in gioco la sicurezza dei passeggeri non bisognerebbe lesinare sullo ore dedicate a freni, sospensioni, pneumatici e luci. Eppure le leggi non mancano.
Il regolamento comunitario che disciplina il trasporto internazionale di persone con autobus, divide il comparto in tre categorie: servizi “regolari” con frequenza, itinerario e fermate prestabilite; servizi “regolari specializzati” rivolti a specifiche categorie di passeggeri (come studenti, lavoratori, ecc.), e infine servizi “occasionali”. Su quest’ultimi, come ricorda Linkiesta, l’unica analisi in Italia finora mai realizzata è quella commissionata nel 2011 da Anav/Confindustria al centro Hermes di Torino (facoltà di Economia del Piemonte Orientale), da cui si evince che il “trasporto turistico e noleggio autobus con conducente” impiega 24mila dipendenti per 3.700 aziende (1.500 al Sud) per un parco di migliaia di autobus, che percorrono 1,2 miliardi di km l’anno e generano un fatturato aggregato di 2 miliardi di euro, lo 0,1% circa del Pil.
Spesso si tratta di aziende a conduzione familiare, con pochi mezzi e risorse. Qualcuno li definisce “padroncini”. Un mercato che spesso finisce nel mirino di indagini giudiziarie. Lo dimostra il grande lavoro a cui sono sottoposti i Pm che, in tutta la Penisola, hanno portato alla luce situazioni di complicità tra gli ingegneri pubblici chiamati ai controlli, i titolari di officine autorizzate all’interno di grandi aziende di trasporti, i padroncini dei mezzi e a volte gli stessi autisti.
L’Asaps, l’associazione amici della polizia stradale, ha svelato alcuni trucchetti per saltare i controlli in officina e alla motorizzazione. Il suo portavoce, Lorenzo Borselli, sovrintendente di polizia a Firenze, racconta: “Ci sono aziende che taroccano in serie i cronotachigrafi, così nessuno potrà scoprire la velocità del bus, i tempi di percorrenza e di riposo dell’autista. I datori di lavoro forzano per risparmiare, mettono in strada mezzi pericolosi, a partire dai pneumatici”. C’è di più. Su 26mila bus a noleggio ce ne sono 6mila Euro 0 e 5mila tra Euro 0 ed Euro 2. Neppure gli autobus, quindi, vanno in pensione. Il pullman dell’Irpinia era stato revisionato a marzo, ma era sull’asfalto da 18 anni, con oltre 900mila chilometri macinati.
Certo la crisi ha contribuito a ridurre le spese per le manutenzioni ma non è l’unica causa. Il costo di un autobus turistico nuovo va dai 300mila euro della Mercedes ai 190mila euro delle marche cinesi. Considerando circa 100mila km percorsi l’anno l’ammortamento rientra solitamente in 6-7 anni. Sotto la soglia dei 100mila km i tempi si allungano, per questo molte imprese familiari acquistano mezzi usati. Poi c’è il capitolo manutenzione: 6-7mila euro l’anno. Non che la situazione del trasporto pubblico sia migliore. Anche gli autobus non privati che circolano sulle strade italiane sono troppo vecchi. Nel nostro Paese ci sono 45 mila autobus con un’età media di 12 anni mentre in Europa l’età media dei mezzi è di sette anni. Cifre che sono sul tavolo di Maurizio Lupi e che presto del ministro dei Trasporti dovrà affrontare per tentare di disinnescare la vera e propria bomba ad orologeria dei nostri autobus.