Che il voto sulla riforma del Mes potesse lasciare il segno all’interno del Movimento cinque stelle era cosa che più di qualcuno aveva immaginato. Che già il giorno successivo uscissero quattro parlamentari (Antonio Lombardo, Maria Lapia, Fabio Berardini e Carlo Ugo De Girolamo), nessuno se lo sarebbe immaginato. Una circostanza che apre ora uno scenario difficile da decifrare: se in 13 hanno votato in difformità rispetto alle indicazione del gruppo parlamentare, che fine faranno gli altri nove? Secondo quanto risulta al nostro giornale, il trattamento non sarà per tutti uguale, ma si analizzerà caso per caso: se ci sono infatti deputati per cui non è la prima volta che si arriva allo scontro con la linea ufficiale, in altri casi, invece, la decisione è soltanto il frutto di un’aderenza (eccessiva, secondo alcuni) ai principi originari del Movimento a tal punto da non voler trattare e mediare con niente e con nessuno.
LO SPRINT. Il tema portante, però, è un altro. E tocca tutti, tanto i dissidenti quanto i “governisti”. “Il Movimento è ormai da troppo tempo senza un leader”, mormora più di qualcuno tra Camera e Senato. A dettare la linea, infatti, oggi resta Vito Crimi. “Ma non nascondiamoci dietro un dito – spiega uno dei parlamentari allineati – Crimi, per quanto sia stato un importante traghettatore, è un ‘capo’ a tempo e non gode ormai più della fiducia incondizionata dei gruppi parlamentari”. Tanto vale, si ragiona nei corridoi parlamentari, accelerare sul post-Stati generali.
E qui sorge il punto: dopo i summit e i comitati il punto d’arrivo degli Stati generali resta oscuro. Ancora siamo apparentemente lontani dalla nomina del tanto agognato direttivo. E sono state proprio diverse remore interne che non a caso ieri hanno portato Crimi ad annunciare che il 19 e il 20 dicembre si terranno gli ‘Stati generali tematici’. “Discuteremo 6 temi il sabato e 6 la domenica, dalle 9 alle 19 – ha spiegato Crimi in un video – La giornata di lavori verrà divisa in 4 sessioni con la stessa tecnica degli stati generali: ci saranno esperti, ministri, per le informazioni di base poi ci si divide in stanze per poter dialogare come attorno a un tavolo e tornare all’assemblea plenaria a restituire i contenuti della discussione”.
Un’accelerazione improvvisa che rende conto di come il tema della leadership non sia più procrastinabile. In questo marasma, però, resta una nota positiva: Alessandro Di Battista. Chi si aspettava che avrebbe colto l’occasione per attaccare la linea governista, è rimasto deluso. Di Battista ha preferito restare in silenzio, non dare adito a polemiche, e ha addirittura fatto rientrare i suoi: Barbara Lezzi, sua fedelissima, non a caso ha votato a favore della riforma. Segno che si è trovata una quadra tra dibattistiani e dimaiani. In nome di un direttivo in cui possano sedere entrambi.