Dopo giorni di silenzio Nicola Zingaretti rompe gli indugi. Con un lungo post sui social il segretario del Pd dice la sua sullo scontro in atto tra Giuseppe Conte e Matteo Renzi. Chiede “un passo in avanti, di tutti”. E mette il suo partito in una posizione di equidistanza tra Palazzo Chigi e il leader di Rignano: “Non partecipiamo ad alcuna presunta competizione all’interno della maggioranza, che ci dovrebbe vedere schierati da una parte o dall’altra”. Ci sono problemi? Che vengano “risolti nel quadro di un limpido confronto tra l’insieme del governo e le forze politiche che lo sostengono”.
Le critiche non possono essere considerate “come un atto di lesa maestà”, argomenta, ma i temi vanno posti in modo “costruttivo e non distruttivo”. Ovvero un colpo al cerchio e uno alla botte. Per concludere che “è da irresponsabili dare spazio a rigidità e incomprensioni”. Zingaretti dà voce alla richiesta che sale da tutto il partito: la “collegialità”. La proposta sul Recovery fund in arrivo – dice – è “una proposta, non un pacchetto conchiuso in se stesso. È doverosamente aperta al confronto in Parlamento, anche con le opposizioni, e nel Paese”.
Ancora una volta sprona Conte a muoversi, a prendere l’iniziativa per “costruire le condizioni perché questa alleanza politica possa affrontare la ricostruzione italiana”. I dem condividono parte delle obiezioni di Renzi alla struttura e al piano per il Recovery plan ma ovviamente prendono le distanze dai toni usati dal senatore fiorentino. Così, da una parte, c’è il ministro Giuseppe Provenzano che dice a Renzi “basta rinvii, ricatti e ultimatum”. E dall’altra Graziano Delrio che ritorna a ribadire la necessità di coinvolgere tutti, dal governo agli enti locali, dalle imprese ai sindacati.
Sulla questione interviene anche Luigi Di Maio: sulla cabina di regia per spendere i soldi del Recovery si può trovare un compromesso, “ma basta scontri politici o azioni unilaterali”. “Si può trovare una soluzione su come formare una cabina di regia che permetta di non togliere potere a ministeri, Regioni e Comuni”, dice il numero uno della Farnesina, tenendo in conto le richieste di Pd e Iv. Ma allo stesso tempo, contemplando l’esigenza del premier di metter su una struttura snella che segui l’esecuzione dei progetti, afferma: “Servono procedure che rendano tutto più veloce. Avremo bisogno di norme straordinarie”.
Matteo Renzi da parte sua non fa passi indietro, convinto più che mai senza il suo partito il governo non vada avanti. E Conte? Il premier prende tempo. Ma una volta tornato dal Consiglio europeo dovrà affrontare la questione in un confronto coi leader di maggioranza, probabilmente, e successivamente in Cdm. Nel frattempo si è detto pronto a trattare. La norma sulla governance del Recovery plan non andrà in legge di bilancio – come chiedeva l’ex premier rottamatore – ma in un apposito decreto. Che il Parlamento eventualmente potrà modificare.
Ogni passaggio coinvolgerà le Camere, le forze sociali e soprattutto il Consiglio dei ministri. Non ci saranno 300 esperti come inizialmente ipotizzato ma una struttura molto più snella. I responsabili di missione, i sei manager, dovrebbero invece essere confermati. Ma i loro poteri in deroga verrebbero limitati a casi eccezionali. La struttura piramidale immaginata dal premier prevede in cima la cabina di regia formata dallo stesso Conte e dai ministri Roberto Gualtieri e Stefano Patuanelli. Ma le questioni riguardano anche il merito. Dalle risorse stanziate per il turismo a quelle per la Sanità. Il ministro della Salute Roberto Speranza lamenta che 9 miliardi sono pochi. La strada per ora è tutta in salita. Anche se Conte da Bruxelles manifesta ottimismo: a suo dire la “coesione” della maggioranza, testimoniata dal via libera alla riforma del Mes, rafforza il governo in Europa.